Davanti alla fiammata dell‘inflazione, la Banca centrale europea conferma che in autunno smetterà di acquistare titoli di Stato dei Paesi dell’Eurozona. Facendo però in questo modo venire meno un paracadute che è stato provvidenziale per gli Stati più esposti agli umori dei mercati come l’Italia gravata da un debito intorno al 150% del pil. Subito dopo potrebbe rialzare i tassi. Risultato: dopo la riunione del direttivo dell’Eurotower e la conferenza stampa della presidente, Christine Lagarde, il rendimento dei Btp italiani si è impennato fino al 2,49%, in rialzo di 11 punti base, e lo spread si è allargato a 165 punti base. I titoli di Stato italiani sono quelli che stanno perdendo più terreno in Europa. A poco è valso che Lagarde, attenta a non ripetere lo scivolone del marzo 2020, abbia assicurato che di fronte a qualunque allargamento dei differenziali “il principio che applicheremo è la flessibilità” (degli acquisti di bond), “due anni fa ciò è stato necessario e ci siamo mossi prontamente. Faremo esattamente lo stesso, ci muoveremo prontamente“.
Il Consiglio della Bce nel comunicato dopo la riunione del board ha riecheggiato il “whatever it takes” di Mario Draghi applicandolo al livello dei prezzi: il board “intraprenderà qualsiasi azione necessaria” – “whatever action is needed” – “per adempiere il mandato di perseguire la stabilità dei prezzi e per contribuire a preservare la stabilità finanziaria”. Il percorso è segnato: gli acquisti di titoli di Stato “saranno pari a 40 miliardi di euro ad aprile, 30 miliardi di euro a maggio e 20 miliardi di euro a giugno“, scrive il direttivo, e “dovrebbero concludersi nel terzo trimestre. La calibrazione degli acquisti netti per il terzo trimestre sarà guidata dai dati e rifletterà l’evolversi della valutazione delle prospettive da parte del Consiglio direttivo”. Nel meeting di giugno verrà presa la decisione finale sullo stop. ‘Un po’ di tempo dopo’ arriverà la stretta con il rialzo dei tassi. Il tempo non è ancora stato quantificato ma come ha spiegato Lagarde “può essere tra una settimana o tra diversi mesi”.
“Dal comunicato e dalle parole della Lagarde è emersa una sorta di presa di tempo e rinvio delle decisioni a giugno”, commenta Antonio Cesarano, Chief Global Strategist di Intermonte, “concedendo alle presumibili maggiori pressioni dei falchi (dopo il marcato rialzo dell’inflazione) sul fatto che gli argomenti a favore di uno stop del Qe nel terzo trimestre diventano ancora più forti”. Lagarde, osserva Cesarano, “ha dato ‘un colpo alla botte ed uno al cerchio’ enfatizzando sia il rischio al rialzo per l’inflazione sia quello al ribasso per la crescita, sottolineando come dall’ultimo lending survey condotto tra le banche dell’area sia emersa l’intenzione di applicare credit standard più restrittivi nei prossimi mesi”.
Il panorama in cui questo avverrà è fosco. La guerra in Ucraina “sta già pesando sulla fiducia delle imprese e dei consumatori, anche attraverso l’incertezza che porta” con sé e “ha creato nuove strozzature“, ha spiegato Lagarde. E, dopo avere registrato “un aumento dello 0,3% nel quarto trimestre del 2021, la crescita è stimata debole nel primo trimestre in gran parte a causa delle restrizioni legate alla pandemia, diversi fattori indicano una crescita lenta anche nel periodo successivo”. Il rallentamento va a braccetto con la fiammata dei prezzi: nell’Eurozona e non solo “l’inflazione è aumentata in modo significativo e rimarrà elevata nei prossimi mesi, principalmente a causa del forte aumento dei costi energetici”, scrive la Bce – che fino all’anno scorso la riteneva invece un fenomeno transitorio – nella dichiarazione conclusiva della riunione periodica del Consiglio Direttivo, in cui si sottolinea come “le pressioni inflazionistiche si sono intensificate in molti settori”. In futuro le scelte di politica monetaria saranno legate “ai dati in arrivo e all’evoluzione della valutazione delle prospettive“, sempre nell’ottica di prendere “tutte le misure necessarie per adempiere al mandato della Bce di perseguire la stabilità dei prezzi”.