Gli storici del futuro, se ce ne saranno, e se ci sarà un futuro (questione ahinoi non del tutto chiara, dati i tempi che corrono), racconteranno nei loro Annali che l’Italia, alla fine del primo ventennio del Terzo Millennio, era governata da un esecutivo presieduto da un banchiere, già allievo di un illustre economista, ma che aveva svolto il proprio tirocinio presso una delle più importanti società finanziarie, e composto, tra gli altri, da un giovane ministro degli Esteri dall’incerto curriculum, noto per le sue gaffe di natura storica, geografica e di cultura generale, incompetenza davvero deplorevole data la delicatezza delle questioni di cui era investito in un momento di grande difficoltà e delicatezza per le sorti dell’Europa e del pianeta, ma cui sopperiva dando libero sfogo alla sua naturale inclinazione a mettersi sull’attenti di fronte ai superiori, da lui identificati con i vertici della Nato e dell’Unione europea.

Luigi Di Maio costituisce in effetti, per tali sue peculiari caratteristiche, la vera e propria personificazione del dramma che stiamo vivendo e delle sue radici profonde, incompetenza e assoluta mancanza di autonomia, anzitutto dal fondamentale punto di vista del pensiero.

Vizi gravissimi da cui sono affetti quasi tutti i politici e quindi anche gli altri membri del governo in carica, a partire dal suo capo. Mario Draghi è certamente superiore a Di Maio da tale punto di vista (non è peraltro che ci voglia molto) e vanta sicuramente competenze approfondite e sperimentate in campo finanziario ed economico, ma presenta purtroppo anch’egli limiti insuperabili dovuti all’unidimensionalità del suo approccio culturale, sia in termini strettamente disciplinari che dal punto di vista dei suoi riferimenti ideologici. Identico difetto è poi presente in praticamente tutti i ministri e le ministre, siano essi tecnici (ovvero scelti da Draghi) o politici (ovvero scelti dai partiti di riferimento).

Quello che hanno in comune questi signori e queste signore è l’estrema asfitticità degli orizzonti, pesantemente obnubilati da due difetti di fondo che ne pregiudicano la capacità di intendere e di volere, e cioè dai presupposti ideologici per loro irrinunciabili del neoliberismo da un lato e dall’atlantismo dall’altro. Non obbedire ciecamente al secondo, in particolare, porta alla scomunica da parte di nuovi “papetti” autoproclamati, si tratti di Riotta, di Galli Della Loggia o di altri, accomunati ai personaggi governativi evocati da una strenua renitenza all’uso appropriato dell’organo cerebrale, e pronti a tacciare di filoputinismo chiunque, il vero Papa compreso, azzardi interpretazioni del conflitto tra Russia e Ucraina che in qualche misura si discostino dallo schema infantile della lotta del Male contro il Bene.

La decisione di Putin di invadere l’Ucraina ha riattualizzato la scelta fra guerra e pace ricollocandola al centro della discussione politica. Si tratta di scelta fatta da Putin ma preparata e determinata dalla strategia aggressiva della Nato e dell’Occidente (vedi la recente confessione di Clinton al riguardo). Ne derivano fenomeni agghiaccianti come la destinazione a spese militari di fondi precedentemente attribuiti alla scuola, eterna Cenerentola per un’Italia sempre più ignorante (evidente peraltro anche dalla scadente qualità dei suoi politici e dei suoi governanti), la costruzione, come a San Rossore, di basi militari in riserve naturali con soldi provenienti dal mitico Piano nazionale di ricostruzione e resilienza, l’inflizione alla Russia di sanzioni boomerang di cui, al pari che delle spese militari, pagherà il costo quasi esclusivamente il popolo italiano, che potrebbe altresì rimanere, cogli altri popoli del mondo, vittima della follia bellicistica alimentata in prima persona da Biden e da Boris Johnson che rischia di sfociare in un conflitto nucleare generalizzato.

Il popolo italiano è contro questa escalation guerrafondaia, contro il riarmo e contro l’invio delle armi all’Ucraina, come dimostrato da vari sondaggi, tra i quali uno realizzato di recente dall’Ipsos, secondo il quale il 62% vorrebbe alleggerire il sostegno all’Ucraina e trovare un modo per dialogare colla Russia.

La scelta è fra guerra e pace e mette in discussione il nostro modello di sviluppo. A favore della prima praticamente, come si diceva, tutte le forze politiche. Dalla parte della pace la maggioranza stragrande del popolo italiano, priva di rappresentanza, se si esclude la formazione politica ancora allo stato embrionale che potrebbe raccogliersi attorno a Luigi De Magistris. Per esprimere il sentimento prevalente del popolo italiano su tale decisiva e fatale questione le organizzazioni sociali, e soprattutto i sindacati che siano effettivamente tali, dovrebbero al più presto costruire adeguate azioni di lotta e uno sciopero generale nazionale contro il governo Draghi e le sue politiche inique e guerrafondaie.

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