di Stefano Briganti
Mancano una manciata di giorni al 20 aprile. La data è importante perché, scadendo i primi contratti Gazprom, chi vorrà acquistare gas russo dovrà aprire due conti presso Gazprombank: uno in euro e uno in rubli. I pagamenti avverranno in euro sul conto in euro e poi verranno convertiti in rubli sul conto in rubli dell’acquirente. Su questo conto avverranno i pagamenti a Gazprom e solo a questo punto l’acquisto è concluso. Questo meccanismo non viola i contratti perché gli accrediti di acquisto dai paesi Ue sono in euro, ma “indispettisce” l’Europa. Mosca ha capito il “gioco” dei congelamenti di conti in valuta e si protegge.
Nessuna voce in tal senso giunge dai Palazzi romani che, incapaci di autonome decisioni impopolari, attendono le decisioni Ue per allinearsi. L’Italia acquista dalla Russia 29 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Oggi il gas russo arriva via gasdotto e ha un costo sul quale si basano i conti economici della produzione elettrica per le industrie e per uso domestico. Tutti sappiamo che ad oggi questi costi si sono impennati con punte di oltre il 500% già dalla fine dello scorso anno, e cioè pre-guerra. Il motivo lo si attribuisce a un boom di domanda post-Covid.
Gli “alleati contro la Russia” ci spingeranno a ridurre velocemente le forniture di gas russo per “punire Putin” e noi, ovviamente, obbediremo. Ora si va in giro tra Algeria, Qatar, Congo e Mozambico alla ricerca di gas da aggiungere ai 2-3 miliardi di metri cubi annui di Gnl che arriveranno dagli Usa (fino a 15 miliardi tra cinque anni). Dal prossimo anno, se “obbediremo” alle direttive degli “alleati” e dovessimo ridurre del 50% il gas russo, potrebbero mancare all’appello una decina di miliardi di metri cubi di gas all’anno. Tranne l’Algeria (che può dare inizialmente altri 2-3 miliardi di metri cubi all’anno in più) in tutti gli altri casi il gas è il Gnl e arriverà via nave. Il Gnl Usa (estratto dallo scisto) tra estrazione e trasporto costa circa il 30% in più di quello russo. Poi ha bisogno di rigassificatori: “una nave attrezzata costa 500 milioni all’anno di affitto e ne servono almeno altre due che stiamo cercando” (fonte Cingolani). Infine si dovrà rivedere la rete di distribuzione con costi ignoti (fonte Snam).
In sostanza la “madre di tutte le sanzioni” alla Russia, ovvero la riduzione/cancellazione delle richieste di gas russo, porterà nuovi soldi agli Usa e ad ex “stati canaglia” africani dai quali dipenderemo. Porterà anche un danno a breve-medio periodo alla Russia, ma non nel lungo perché già si sta muovendo per costruire Power Siberia 2 da affiancare all’1 per dare più gas a basso costo alla Cina, con la quale ha appena stipulato un contratto trentennale di fornitura gas.
A noi invece porterà meno gas e a un prezzo nettamente superiore a quello attuale già molto alto. Ci regalerà una produzione industriale meno competitiva e una maggiore necessità dei cittadini a stringere la cinghia. Quando, provatissimi, diremo a Putin “Take that!” (Margrete Vestager dixit), chiudendo completamente i rubinetti, la Russia probabilmente non se ne curerà molto, concentrata come sarà sui mercati di Cina, India, Medio Oriente e Africa.
Sicuramente continuare a spingere sulla via diplomatica sin dall’inizio ascoltando e gestendo le richieste di Ucraina e Russia, “blindando” al contempo la sicurezza degli Stati europei, avrebbe portato meno sangue, meno armi e meno impatto economico per noi e gran parte dell’Europa. Avrebbe però portato anche meno nuovo business agli Usa, sarebbe rimasta la continua presenza del suo arcinemico Russia e non avrebbe spezzato i legami Europa-Russia stringendo ancor di più quelli Europa-America. Penso sia lapalissiano che se anche domani tutti i soldati russi, carri, navi e aerei dovessero magicamente rientrare in Russia, la “madre di tutte le punizioni a Putin”, ovvero i rubinetti del gas russo chiusi, rimarrebbe inalterata e con lei tutti i plus per gli Usa e i minus per Italia ed Europa, a riprova che le sanzioni non sono il mezzo ma il fine.