La poltrona logora chi non ce l’ha. Nel senso che una volta occupata, i padri padroni dello sport italiano non la vogliono più mollare. L’ultimo della lista è il n. 1 della Federazione Italiana Sport Invernali (FISI), Flavio Roda: in carica dal 2012, reduce da un’Olimpiade di Pechino non esaltante (risultati in chiaroscuro, tante polemiche interne, interi settori allo sbando), non sembra intenzionato a farsi da parte. Arrivato al terzo mandato fissato come limite dalla legge, punta al quarto grazie a un’interpretazione dell’avvocato federale.
Eppure l’ordinamento dello Stato è semplice: massimo tre mandati, poi si va a casa. L’ha stabilito la legge 8/2018 voluta dall’ex ministro Luca Lotti, che prevedeva anche una forma di compromesso, pretesa e ottenuta dalla lobby dello sport: chi era in carica al momento dell’entrata in vigore della norma, a febbraio 2018, aveva diritto a un mandato extra, che è servito a dare un contentino ai “dinosauri” delle varie Federazioni, che infatti sono stati quasi tutti rieletti nel 2021. Per l’ultima volta.
I presidenti però non ne vogliono sapere, pur di rimanere in carica le provano tutte. Dal tennis, ad esempio, è partita una crociata che punta addirittura a far dichiarare incostituzionale la norma. La posizione del presidente della FISI Roda è particolare. Siccome le Federazioni votano subito dopo le Olimpiadi, quelle invernali vanno alle urne sfalsate dalle altre. Ed è qui l’inghippo. Dopo che la legge è entrata in vigore, il numero della FISI è già stato riconfermato una volta, ad aprile 2018. Senza nemmeno bisogno di sfruttare il “bonus” concesso dalla norma, visto che per lui si trattava del terzo mandato. E forse è proprio questo il punto: perché il capo degli sport invernali dovrebbe essere da meno dei colleghi. Si merita anche lui il jolly: se non ne ha goduto allora, lo vuole utilizzare adesso.
A grandi linee, è questa la tesi dell’avvocato della Federazione: visto che nel 2018 non fu possibile adeguare in tempo lo statuto, e che l’ultima volta si votò senza il limite di mandati, queste vanno considerate le “prime elezioni” dopo la riforma. Dunque “non deve essere pregiudicato il diritto alla candidabilità di coloro che si siano candidati alle diverse cariche per un mandato superiore al limite”. A partire, ovviamente, da Roda, che si aggrappa pure allo statuto dove si parla di “tre mandati quadriennali” (mentre il suo primo è stato a metà). L’interpretazione pare un po’ fantasiosa, ma contattato da Ilfattoquotidiano.it Roda garantisce almeno che – contrariamente da quanto sembrava in un primo momento, in cui la consulta FISI si era detta contraria – verrà chiesto un parere al Collegio di garanzia del Coni, che è l’autorità vigilante. Del resto, Giovanni Malagò e il suo dirimpettaio di Sport e Salute, Vito Cozzoli, sono parti in causa: considerato che in ballo c’è un compenso dai due enti (rispettivamente per la partecipazione al consiglio nazionale, e l’assegno di 36mila euro per l’incarico di presidente federale), ci potrebbero essere persino gli estremi di danno erariale, in caso di retribuzione di un dirigente ineleggibile per lo Stato.
Si vedrà. Di certo c’è che Roda punta al suo quarto mandato, che lo lascerebbe in carica fino al 2026. E la FISI veleggia verso le elezioni. Con calma, però: nonostante i Giochi di Pechino siano conclusi a febbraio, le urne si apriranno solo a ottobre, visto che il nuovo statuto ha posticipato la scadenza per i tesseramenti (e di conseguenza il voto). Otto mesi di attesa cruciali, in cui, comunque finisca la diatriba sulla ricandidabilità, l’attuale dirigenza avrà modo di impostare vertici tecnici e preparazione del prossimo, decisivo quadriennio olimpico, che porta fino ai Giochi in casa di Milano-Cortina. Il nuovo presidente si ritroverà con la squadra già fatta dal vecchio. Se poi saranno la stessa persona, nessun problema.
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