Ferrero non utilizzerà – fino a nuova comunicazione – l’olio di palma prodotto dal conglomerato malese Sime Darby Plantation, dopo che la dogana statunitense ha rivelato lo scorso gennaio di avere prove sufficienti per dire che il leader nella produzione sostenibile di olio di palma si è servito di lavoro forzato nelle sue piantagioni. A rivelarlo è l’agenzia Reuters, che ricorda come l’ingrediente sia fondamentale nel dare la tipica consistenza e nel prolungare la durata di conservazione di Nutella e Ferrero Rocher, noti prodotti dell’azienda di Alba. Che in questi giorni è anche alle prese con il caso della presunta contaminazione da salmonella nel suo stabilimento belga.

L’indagine della dogana, durata due anni, ha esaminato le pratiche di lavoro in Malesia, il maggior produttore al mondo di olio di palma. Oltre a Sime Darby, nel mirino sono finite altre sei società, bandite dagli Usa con l’accusa di utilizzare lavoro forzato. L’80% dei lavoratori impegnati nelle piantagioni in Malesia provengono da paesi come Indonesia, India e Bangladesh.

“Il 6 aprile, abbiamo chiesto a tutti i nostri fornitori diretti di interrompere la fornitura a Ferrero di olio di palma e olio di palmisti provenienti indirettamente da Syme Darby fino a nuovo avviso”, ha riferito l’azienda piemontese a Reuters via e-mail, aggiungendo che “rispetterà la decisione della US Customs and Border Protection“. La multinazionale – che riferisce di usare solo olio di palma certificato e sostenibile, l’85% del quale preso dalla Malesia – ha ricordato che i suoi prodotti e marchi negli Stati Uniti hanno smesso di rifornirsi da Sime Darby dal gennaio 2021.

Di fronte alle accuse, la multinazionale con sede a Kuala Lumpur ha risposto di aver adottato misure nel campo dei diritti umani e che tutte le parti interessate coinvolte nella sostenibilità sono state rassicurate sul suo impegno e sulla sua leadership nel settore. “Siamo in contatto con tutte le parti interessate, in particolare i clienti che hanno i propri impegni”, ha affermato.

Ferrero, rispetto ad altre aziende, non si rifornisce direttamente dall’impresa malese e, oltretutto, ne acquista poco: circa lo 0,25% dei suoi volumi. Ciononostante, la scelta avrà dei contraccolpi sulla reputazione del conglomerato, già in crisi dopo che l’anno scorso altre aziende hanno annunciato lo stop: Cargill, Hershey e General Mills.

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