Siamo reduci da una pandemia, siamo traumatizzati da una guerra che, se pure non combattuta nei nostri confini, ha portato nelle nostre case (e nei nostri cuori e nelle nostre menti) immagini di una distruttività insostenibile. Ha senso allora chiedere proprio in questi giorni di festa di ridurre, o meglio ancora eliminare, il consumo di carne (e pesce)? In verità sì. Le immagini di guerra ci hanno mostrato come le persone in fuga dalle proprie case portino con sé qualunque animale domestico. C’è chi, persino, ha portato con sé la gabbia degli uccelli. Ho pensato che se i profughi fossimo noi faremmo lo stesso, mai potremmo lasciare un cane, un gatto, persino i nostri criceti. Abbiamo sviluppato una forma elevata di etica, che include appunto gli animali come esseri viventi che soffrono e gioiscono. E hanno emozioni esattamente come noi.
Perché allora impazziamo davanti a una piccola sofferenza del nostro cane ma accettiamo che miliardi di bovini, suini, polli vengano uccisi ogni anno? Questa schizofrenia morale è al centro di un bellissimo libro in arrivo per Blackie edizioni, del giornalista Henry Mance. Che si chiama, appunto, Amare gli animali. Mance nota anche l’assurdo per cui i personaggi dei cartoni animati e dei fumetti sono spesso animali a cui i bambini si affezionano. Eppure spesso quegli stessi animali finiscono nel piatto anche dei piccoli. I quali non notano la contraddizione perché appunto nessuno gliela fa notare, tutti si comportano come se fosse normale.
Tratteremmo gli esseri umani in maniera così differenziata? Alcuni adorandoli fino ad arrivare a scelte che hanno un po’ dell’incredibile (quante persone dormono con cani e gatti e non riuscirebbero a farne a meno?), altri invece trattandoli come carne, appunto, da macello? E se è vero che purtroppo non consideriamo gli esseri umani allo stesso modo, almeno sappiamo che è sbagliato, il nostro codice etico ci dice che è una cosa moralmente gravissima trattare diversamente la vita di due persone. Ma per gli animali no. Se vogliamo fare una Pasqua senza violenza, allora, dovremmo fare una Pasqua evitando di uccidere gli animali. Gli agnelli in particolari, trasportati in condizioni disumane in camion perché arrivino appunto sulle nostre tavole dopo essere stati macellati. Una parola, “macellati”, che non ci ferma. E si tratta di animali bambini, eppure neanche questo ci impedisce di mangiarli.
C’è un’altra ragione per cui non mangiare carne e la Pasqua, e i suoi valori di pace, sono strettamente legate. La guerra ha portato il pianeta da un momento in cui, sebbene timidamente, sembrava che la questione ecologica stesse finalmente tornando al centro dell’agenda ad un altro in cui si parla solo di riarmo, e si agisce di conseguenze. Con buona pace della transizione ecologica, tutti i governi stanno cercando di correre ai ripari acquistando gas da chiunque, pur di non prenderlo dalla Russia. Nel frattempo, la crisi climatica si aggrava. Lo vedremo quest’estate, quando le temperature torneranno altissime e dovremo lottare contro gli incendi. In questa situazione, sembra che noi cittadini poco possiamo fare. Ed in parte è vero. Eppure esiste un’azione capace di agire in maniera diretta sulla crisi climatica: quella di ridurre o eliminare carne. Se tutti lo facessero, la deforestazione calerebbe drasticamente, perché non servirebbero così tanto campi per i mangimi. Ci sarebbe più spazio per coltivare, e soprattutto diminuirebbero drasticamente le emissioni climalteranti, come CO2 e metano. E se è vero che effetto serra effetto guerra, allora non mangiare carne è una scelta di pace.
Non cito, da ultimo, il fatto che ridurre o eliminare la carne è una scelta che fa bene alla salute, perché mi sembra meno importante, anche se rimango sempre abbastanza basita da quanta carne abbiamo nei nostri ristoranti, nelle nostre mense, ma anche da quanta carne c’è nella testa dei vari dietologi che sembrano solo capaci di proporre diete proteiche, che vanno tanto di moda. Come se non fosse fondamentale chiedersi quanto un tipo di alimentazione sia compatibile con la nostra vita sulla terra (oltre che con la nostra salute). Penso che già le ragioni della sofferenza animale e quella della devastazione ambientale potrebbero essere sufficienti a superare quello che è un piacere relativo, visto che chi non mangia carne non tornerebbe sui propri passi neanche se facesse bene a tutto, perché il palato si abitua ai sapori meravigliosi dei legumi, della verdura e dei cereali.
E allora sono vegana? Sono vegetariana? In passato l’ho scritto, sbagliando. Non voglio usare nessuna di queste etichette, perché credo che ridurre/eliminare la carne sia una questione di sostanza e non di purezza. E le etichette possono ritorcersi contro a chi le usa, perché chi critica è pronto a cogliere in fallo quello o quell’altro influencer vegano mentre mangia un panino al formaggio o del pesce. È una critica stupida, ma proprio per questo è meglio non usare etichette e, come dicevo, puntare alla sostanza e non alla purezza. Che vuol dire? Tendenzialmente, non mangiare carne né affettati né pesce. Avere una dieta fondata su legumi, cereali, verdure, un po’ di formaggio (poco), pochissime uova. Fine della storia. Sono vegana? No. Sono vegetariana? Neanche, perché a volte mi è capitato di mangiare pasta alle vongole o un calamaro alla griglia. Non mangio carne? Come ho detto, di base no, infatti non ne compro. Ma se vado a casa di qualcuno e questo qualcuno ha cucinato carne e se non ho nessuna alternativa, la mangio. Per una questione di educazione, per non creare inutili polemiche. Perché peggio che mangiare carne c’è solo una cosa: sprecarla.
Ecco perché parlo di una dieta che guardi alla sostanza e non al dettaglio ideologico. Fatemi un piacere, per questa Pasqua. Non mangiate agnello, e riducete il più possibile la carne (e il pesce). Evitando scontri ideologici, che non servono. Non mangiare carne è una scelta di pace ed è una scelta che, a questo punto della storia umana, va fatta in maniera decisa. Senza proclami, senza giudizi, con pragmatismo – non importa se una tantum si mangia, conta quanto si riduce ogni giorno – e insieme però riconoscendone il carattere profondamente etico. Possiamo fare così poco per il mondo e dunque per noi stessi, facciamolo! Saremo anche molto più eticamente coerenti quando proveremo disperazione per la morte dei nostri animali. Certo, non sentiamo affetto per bovini e suini ed è normale, ma questa non è una buona ragione per mangiarli, così come non proviamo affetto per esseri umani lontani da noi. Ma mai ci verrebbe in mente di sopprimerli. Pensiamoci.