Un altro comandante dell’esercito russo è stato ucciso durante l’invasione dell’Ucraina: si tratta del generale maggiore Vladimir Frolov, vicecomandante dell’ottava armata nel distretto meridionale, uno dei battaglioni impegnati nell’assedio della città portuale di Mariupol. Frolov è almeno il quindicesimo tra gli alti ufficiali delle forze di Mosca a perdere la vita dal 24 febbraio scorso, giorno dell’inizio del conflitto. Ad annunciare il decesso, nel sabato di Pasqua, è stato il governatore di San Pietroburgo Alexander Beglov, comunicando che la sepoltura del militare si è tenuta lo stesso giorno in città, nello storico cimitero di Serafimovskoe. “Oggi diciamo addio a un vero eroe”, ha detto Beglov. “Vladimir Petrovich Frolov è morto di una morte eroica in battaglia contro i nazionalisti ucraini. Ha sacrificato la sua vita affinché i bambini, le donne e gli anziani del Donbass non sentissero più le esplosioni delle bombe, in modo che smettessero di aspettare la morte e che, uscendo di casa, non salutassero più come se fosse l’ultima volta”. Le immagini diffuse dai media russi raffigurano la tomba coperta da fiori bianchi e rossi e sovrastata da una croce di legno con la foto del generale.
Tra le file dell’esercito russo, il mese e mezzo di guerra ucraina ha già causato più perdite dei sette anni di intervento militare in Siria. Secondo la Difesa di Kiev i soldati russi uccisi sono più di ventimila, stima che raddoppia a quarantamila (secondo il Pentagono) considerando anche feriti e dispersi. E a colpire gli analisti militari occidentali è proprio il numero senza precedenti di alti ufficiali caduti: prima di Frolov l’ultimo era stato il colonnello Alexander Bespalov, comandante del 59esimo reggimento carri armati, sepolto l’8 aprile nella città di Ozersk. Pochi giorni prima Kiev aveva rivendicato l’uccisione – vicino Kharkiv – di un altro colonnello, Denis Kurilo, a capo della duecentesima brigata di fucilieri a motore. A metà marzo invece era morto il diretto superiore di Frolov, il generale Andrej Mordvichev, comandante dell’ottava armata del distretto meridionale: secondo la ricostruzione ucraina è rimasto vittima di un attacco all’aeroporto di Chornobaivka, nella regione di Kherson. Gli altri generali morti sono Oleg Mityaev che tra le altre cose nel 2014 aveva guidato le truppe russe nell’invasione del Donbass), Andrej Suchoveckij (47 anni, comandava un gruppo speciale di truppe aviotrasportate, ucciso da un cecchino durante l’assedio di Mariupol), Vitalij Gerasimov (44 anni, aveva partecipato alle operazioni in Siria e all’annessione della Crimea ed è stato ucciso vicino a Kharkiv) e Andrej Kolesnikov (45 anni, era al comando della 29a armata combinata del distretto militare orientale nello Zabaykalsky Krai).
La morte di comandanti militari in battaglia è considerato un evento raro: secondo l’intelligence occidentale rappresenta il frutto delle difficoltà di coordinamento delle operazioni russe. Non a caso, Mosca ha deciso di unificarne la guida nelle mani del generale Alexander Dvornikov, veterano pluridecorato reduce dall’esperienza alla guida dell’intervento militare in Siria. L’ultimo bilancio ufficiale fornito dalla Difesa di Mosca, ormai due settimane fa, parla di 1.351 militari uccisi e 3.825 feriti. Nei giorni scorsi, però, il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha ammesso “perdite significative di soldati” e – pur senza fornire cifre – ha parlato di “una tragedia enorme”. Espressioni che molti osservatori hanno letto come una conferma degli ostacoli incontrati sul campo, testimoniati dal prolungarsi di un conflitto che i generali immaginavano rapido, sottostimando probabilmente la resistenza dell’Ucraina e il sostegno militare fornito dall’Occidente.