Si potrebbe anche soprassedere sull’ennesima figuraccia della FederCalcio e della sua Procura, se non fosse che il naufragio di quest’inchiesta rischia di lanciare un messaggio profondamente sbagliato: liberi tutti. Una volta conclamato che la giustizia sportiva non ha alcuna possibilità di incriminare le plusvalenze fittizie, i dirigenti potrebbero essere tentati di lasciarsi andare ad altri affari fantasiosi
Undici squadre, 59 dirigenti, una sessantina di operazioni sospette, 458 mesi di inibizione richiesti, multe per un totale di oltre due milioni di euro. La più grande inchiesta sportiva recente sul calcio italiano, svanita come una bolla di sapone: tutti assolti. Sembra quasi una scherzo, ma forse in fondo la Figc non aveva mai fatto sul serio.
È stata una settimana decisiva per il pallone italiano. Non per la lotta scudetto, in cui non è successo nulla, e comunque finisca non cambierà le sorti del nostro calcio. Negli scorsi giorni si è conclusa l’indagine della giustizia sportiva sulle plusvalenze fittizie, fenomeno atavico che oscilla tra mal costume (nel migliore dei casi) e vero e proprio illecito, noto a tutti da tempo, certificato perfino dai report federali, che gli organi di controllo hanno fatto finta di non vedere per anni, e quando alla fine se ne sono accorti la toppa è stata peggiore del buco. Praticamente una farsa.
Che l’indagine sulle plusvalenze si concludesse in un nulla di fatto era verosimile. È la terza volta che succede. Addirittura nel lontano 2008 (giustizia ordinaria), quando Milan e Inter furono assolte per gli scambi reciproci avvenuti in quegli anni. Più recentemente nel 2018 (giustizia sportiva), quando la montagna dell’ex procuratore Giuseppe Pecoraro partorì il classico topolino, appena tre punti di penalizzazione per il Chievo Verona, un buffetto insomma. Quindi adesso. La difficoltà è sempre stata la stessa: trovare un parametro oggettivo per ciò che è relativo per antonomasia, il valore di mercato. Per quanto alcune valutazioni appaiano palesemente gonfiate, per provare un illecito bisogna dimostrare uno scostamento dal reale. Su questo hanno fallito tutti. Perché allora colpevolizzare quest’ultimo tentativo.
La verità, però, è che stavolta la Figc non ci ha nemmeno provato. La strategia inquirente del procuratore Giuseppe Chinè è stata semplicemente suicida, con un sistema di valutazione dei calciatori inventato di sana pianta con criteri propri e poi confrontato a un portale internet, prestando il fianco alle difese che hanno avuto gioco facile a smontare il teorema dell’accusa. Soprattutto, anche la tempistica è stata un po’ sospetta: il primo fascicolo aperto a ottobre, ma solo dopo che era trapelata sui giornali la segnalazione delle operazioni sospette fatta dalla Covisoc; a novembre l’annuncio dell’indagine sulla Juve, a seguito della notizia delle perquisizioni da parte della Guardia di Finanza; infine ad aprile i deferimenti, guarda caso giusto il giorno prima che il presidente federale Gabriele Gravina venisse ascoltato dalla procura di Torino come persona informata sui fatti. Insomma, la giustizia sportiva è sembrata muoversi per pararsi la faccia di fronte alla giustizia ordinaria e all’opinione pubblica, più che per reale convinzione. E lo dimostrano anche le richieste avanzate dalla Procura: anche prima di essere ridicolizzate dalla decisione del tribunale, il pm Chinè aveva chiesto delle squalifiche ai dirigenti, solo apparentemente pesanti, senza però mai toccare le squadre, cioè senza mai colpirle davvero nei loro interessi.
Si potrebbe anche soprassedere sull’ennesima figuraccia della FederCalcio e della sua Procura, se non fosse che il naufragio di quest’inchiesta rischia di lanciare un messaggio profondamente sbagliato: liberi tutti. Una volta conclamato che la giustizia sportiva non ha alcuna possibilità di incriminare le plusvalenze fittizie, i dirigenti potrebbero essere tentati di lasciarsi andare ad altri affari fantasiosi, altro che Rovella, Portanova &Co. Per fortuna però ci sono anche i magistrati veri: la Juventus è una società quotata in Borsa e dalle intercettazioni (strumento che oggettivamente la giustizia sportiva non ha) può emergere la prova di un illecito. Fino a quando non si calmerà la tempesta giudiziaria, i club italiani ci penseranno due volte prima di combinare altri guai. Intanto la Figc ha una sola via per riscattarsi: realizzare finalmente una riforma che “disinneschi” il meccanismo delle plusvalenze, ad esempio “neutralizzando” dai parametri Figc quelle che non prevedono flusso di cassa. Se ne parla da anni, vedremo se il presidente Gravina avrà il coraggio e la capacità di farlo. Altrimenti non resterà che pensare che questa Federazione è complice o incapace. In un caso o nell’altro, non ci fa una bella figura.
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