E' ricco di miniere per l'estrazione del carbone, di ferro ma anche metano, manganese, cobalto e quei metalli rari che sono sempre più preziosi per lo sviluppo tecnologico. Le ragioni politiche prevalgono come causa dell'invasione, "ma l'operazione militare in atto è particolarmente costosa per le finanze russe, il ritorno economico deve essere adeguato agli sforzi"
“L’obiettivo prioritario è il Donbass”. Vladimir Putin lo ha ribadito a chiare lettere negli ultimi giorni e sta intensificando gli sforzi per conquistare l’intera regione. Ma perché quest’area è così importante per il Cremlino? La cosiddetta salvaguardia dei russofoni è stata una delle cause che hanno scatenato il conflitto in questa zona già nel 2014 e Mosca vuole “concludere” quanto iniziato otto anni fa. L’altro motivo è militare e politico: per controllare il corridoio fra Rostov e la Crimea serve Mariupol ma anche l’area più a nord, evitando contrattacchi ucraini dalla direttrice settentrionale. La penisola sul Mar Nero ha serie difficoltà di approvvigionamento elettrico e idrico ed è per questo che Putin ha bisogno del territorio costiero garantendosi un canale diretto con la madrepatria.
Ma ci sono anche rilevanti ragioni economiche. Il Donbass, storicamente, è ricco di miniere per l’estrazione del carbone, di ferro ma anche metano, manganese, cobalto e quei metalli rari che sono sempre più preziosi per lo sviluppo tecnologico. Il riferimento è ai giacimenti con cui si recuperano gli “ingredienti” per costruire gli smartphone e le fibre ottiche, o il titanio e il litio per l’automotive elettrico. “Le motivazioni per le quali questo territorio è fondamentale per Putin sono variegate – spiega Marco Di Liddo, analista “senior” del Ce.S.I. – Centro Studi Internazionale – ma se si considera che l’operazione militare in atto è particolarmente costosa per le finanze russe, il ritorno economico deve essere adeguato agli sforzi”. Da qui la necessità di prendersi Mariupol: “E’ il secondo porto per importanza di tutta l’Ucraina e può ospitare navi cargo. Oltretutto, conquistando la città costiera, la Russia porrebbe una seria ipoteca sui giacimenti di gas offshore nel mare d’Azov mentre sulla terra ferma esistono diversi depositi di rocce bituminose dalle quali si estrae il gas di scisto. Si tratta di un bacino esplorato solo in parte: non si sa esattamente quante siano le risorse a disposizione ma vale la pena approfondire la ricerca”.
L’Ucraina vanta 8.500 depositi minerari di rilevanza industriale e circa 110 tipi di minerali diversi; l’industria estrattiva, fino al 2014, generava 15 miliardi di dollari l’anno. Nell’estrazione del carbone, di cui il Donbass è particolarmente ricco, il Paese è al decimo posto al mondo. “E poi – prosegue Di Liddo – ci sono grafite, titanio, ferro, uranio e le cosiddette terre rare fra cui il litio oltre ad alluminio e rame, tanto preziosi nello sviluppo dell’hi-tech”. L’interesse economico, quindi, è la principale motivazione che spinge Putin a concentrare decine di migliaia di truppe per conquistare il Donbass? “Non direi questo. Le ragioni politiche, soprattutto a livello propagandistico interno, sono quelle che consentono di ottenere un maggiore supporto popolare perché smuovono la pancia dell’elettore e influenzano la società. La presunta volontà di liberare il territorio dai nazionalisti ucraini e di difendere l’entità russofona è l’obiettivo dichiarato da Mosca fin dal principio, ma le ricchezze presenti in questa regione potrebbero servire, almeno in parte, a finanziare la ricostruzione di un’area già martoriata e che a fine guerra risulterà in condizioni ancora peggiori”.
Il Donbass, in ogni caso, presenta territori piuttosto dissimili: l’area di Donetsk è più sviluppata mentre Luhanks molto meno. Se l’interesse prioritario di Putin fosse economico avrebbe più senso annettersi per intero la prima, soprattutto la zona di Sloviansk e Kramatorsk, meno la seconda dove l’economia è più modesta. Secondo il centro di ricerca ucraino YouControl, delle mille più grandi imprese del Paese, nella regione di Luhansk sono registrate solo sei… L’altro aspetto da considerare è che in tutto il Donbass vengono estratte circa 23-24 milioni di tonnellate di carbone all’anno. Di queste, nelle due autoproclamate repubbliche controllate da Mosca già da otto anni, ben 18 milioni. E’ evidente quindi come le aree più redditizie siano già in mano russa.
Oltretutto, se nell’epoca dell’Unione Sovietica questa zona era fra le più prestigiose, nell’ultimo ventennio c’è stato un lento declino, acuito dalla guerra che qui è iniziata già nel 2014. Le giovani generazioni se ne sono andate e sono rimasti per lo più gli anziani e le categorie meno abbienti. Nel 2013, le province di Donetsk e Luhansk rappresentavano quasi il 16% del Prodotto interno lordo dell’Ucraina, seconde solo a Kiev, ma negli ultimi otto anni la produzione di carbone è diminuita di quasi tre volte. Ci sono circa 80 imprese metallurgiche ma molte non sono più in funzione già da prima del 24 febbraio. Diverse grandi compagnie minerarie e numerose realtà petrolchimiche, inclusa la mastodontica raffineria di Lysychansk, sono ormai inattive e non a causa del conflitto in corso. Rimane un enorme potenziale di crescita ma in un’area in declino. E che al termine di questa guerra sarà in buona parte distrutta.