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Sofia Goggia, cosa insegna il caso della frase omofoba detta dalla campionessa di sci

Prima premessa: qui tratto della dichiarazione rilasciata da Sofia Goggia al Corriere della Sera secondo cui tra gli atleti della Coppa del Mondo di sci non ci sarebbero omosessuali perché devono affrontare, in discesa libera, la Streif di Kitzbühel (non affronto il secondo tema, complessissimo e sul quale non ho un’opinione, che riguarda atleti e atlete trans).

Seconda premessa: sono maestro di sci, ho fatto agonismo – con scarsissimi risultati – fino ai 17 anni, conosco il mondo della neve e, piccola nota personale, da piccolo mi è capitato di allenarmi accanto a lei (pur avendo due anni in meno di me, era già fortissima all’epoca e mi faceva “mangiare la polvere”).

Ho passato parte del fine settimana scorso a parlare con persone appassionate di sci per le quali Goggia avrebbe detto cose giustissime. Perché, insomma, “ormai non si può dire più niente”. Sono le stesse persone per le quali dire “terroni di merda” o “frocio”, tendenzialmente, non costituisce un problema. Perché “non si può nemmeno scherzare”.

Lo dico subito: la frase di Goggia è omofoba e offensiva. E non è offensiva solo nei confronti della comunità Lgbtqiapk+. Lo è anche nei confronti dell’intelligenza di Goggia stessa. Unire il coraggio (buttarsi giù dalla Streif) all’orientamento sessuale è un pensiero così illogico (e discriminatorio) che mi viene difficile commentarlo. Naturalmente, non cambierebbe nulla se l’avesse detto a mo’ di battuta. In questo caso sarebbe meno insultante della sua intelligenza – anche se, insomma, sarebbe tutto da vedere, visto che si tratta di un’intervista rilasciata a un giornale nazionale da parte di una sportiva super blasonata e seguita – ma resterebbe l’insulto.

Ciò che ci insegna questa storia è che gli sportivi e le sportive vanno presi e prese per ciò che fanno, primariamente, nella vita: praticare uno sport. Quanto la sfera privata, o il pensiero, di una persona debba o meno influenzare la nostra considerazione su ciò che questi fa, nel pubblico, è una questione aperta, dibattuta da tempo, che coinvolge altri campi, come, per esempio, l’arte e la letteratura. Io, per esempio, amo Knut Hamsun. Ma credo che se ci fossimo trovati nella vecchia Kristiania a bere una birra e a parlare di politica avremmo finito col litigare.

E ora arrivo al punto: ci sentiamo ispirati e ispirate dall’abilità con cui – in questo caso specifico – uno sciatore o una sciatrice scendono tra i pali o si rialzano dalle difficoltà; ci fanno battere il cuore quando sono al cancelletto di partenza? Tanto basta. Lo sci, peraltro, può insegnare valori bellissimi: il sacrificio, il rispetto dell’avversario, il valore della sconfitta. Purtroppo il mondo che vi gravita intorno è in buona parte – e mi spiace scriverlo – intriso di cultura maschilista. Sarebbe bello che Sofia Goggia contribuisse a mettere in discussione questa cultura, ma personalmente non mi aspetto tanto da un atleta. Mi aspetto, invece, che siano la scuola e l’educazione familiare a farlo.