Cultura

Valerio Evangelisti è morto. Una voce unica e irripetibile in un panorama editoriale spento

Da impiegato del ministero delle Finanze, sfruttando la passione weird di una letteratura considerata di serie B, tra il 1993 e il 1994 riesce a dare vita a quella che diventerà una serie di romanzi di successo basati sul personaggio di Nicholas Eymerich: un frate domenicano inquisitore nel Regno di Aragona del Trecento. Serissimo, poi, lo storico Evangelisti che costruisce scrupolosamente le vite degli altri, degli sfruttati, dei deboli, dei disgraziati, dei tagliagole come degli ubriaconi, delle puttane come delle operaie

di Davide Turrini

Dalla parte degli sfruttati, dei più disgraziati, e della storia. Valerio Evangelisti è morto. Avrebbe compiuto a breve 70 anni. Romanziere prima per passione e poi per professione, è stato una voce unica e irripetibile di un panorama editoriale asfittico, incapace di comprendere e promuovere forme e contenuti politicamente non convenzionali. “Padre emiliano di montagna e madre romagnola di pianura”, Evangelisti era nato a Bologna nel 1952. Laureato in scienze politiche, ramo storico nel 1976, aveva vissuto “da semplice comparsa” il ’77 bolognese, di cui aveva sempre ricostruito l’eterogenea genesi e composizione socio-culturale anche dal suo portale web, Carmillaonline.com. E proprio dall’ala creativa di quel magmatico movimento politico di sinistra che Evangelisti sfrutterà talento letterario cristallino accoppiandolo ad una scommessa commerciale impossibile. Così da impiegato del ministero delle Finanze, sfruttando la passione weird di una letteratura considerata di serie B, tra il 1993 e il 1994 riesce a dare vita a quella che diventerà una serie di romanzi di successo basati sul personaggio di Nicholas Eymerich: un frate domenicano inquisitore nel Regno di Aragona del Trecento che, nel tentativo di ottenere sempre più prestigio e conferme della propria posizione all’interno dell’Inquisizione, si connette con la dimensione fantascientifica dei viaggi interstellari, degli spostamenti nel tempo, delle astronavi e delle sette pagane. Nient’altro che l’ordine versus il disordine composto in uno stile febbrile e crudo, irruvidito e sanguigno. Eymerich vende subito, e inaspettatamente 15mila copie, che con le ristampe arrivano a 20mila. Un piccolo grande caso editoriale pubblicato nientemeno che dalla più grande casa editrice italiana, Mondadori. Eymerich si trasforma subito in saga appassionante di ben 13 titoli (l’ultimo è del 2018) e ogni volta i lettori si aggiungono e diventano fan, quasi che Evangelisti, per quel suo approccio al romanzo che definì più volte “fantagotico”, fosse una sorta di incappucciato profeta laico e alieno. Non a caso lo scrittore bolognese era appassionato anche di cinema, soprattutto horror, e da questo immaginario impazzito uscito dagli anni settanta ne aveva tratto gli elementi più bizzarri nella trama e credibili a livello storico per renderlo un successo popolare. Si tratta quindi di un “cambio di mondo” che guarda caso all’improvviso prima si mescola, come fosse un odierno spin off di Eymerich, ad un altro personaggio, Pantera (Metallo urlante, Black Flag, Antracite) pistolero messicano del west che spara e officia sacri rituali da ministro di culto quale è per scacciare cowboys assassini e spiriti maligni. Da qui eccolo rilanciare nei primi anni duemila quella che sarà la trilogia del (non) movimento sindacale americano – Antracite, Noi saremo tutto, One big union – dove lo sguardo di Evangelisti si colloca sulla nascita, e sulla mai esplosa presa, del comunismo in America e sulla violenta reazione istituzionale che scaturisce oltreoceano per annientarlo. Traditori del popolo miserabili e disillusi (One big union è raccontato tutto dal punto di vista di una squallida spia nel movimento operaio statunitense di fine ottocento) respirano accanto a veri e propri antieroi senza tempo e senza macchia, uomini e donne comuni che mettono il loro corpo oltre la vita e la morte per affermare la propria dignità di esseri umani. Evangelisti in questo è maestro: non c’è mai una morale da trarre nei suoi racconti o una lezioncina su chi sono i buoni da imporre ai lettori. È il magma indistinto della storia che si gonfia in tumulto e sradica la tradizione e i soprusi, ma soprattutto che ristabilisce un ordine nero e sempre antico di rapaci sfruttatori. Immensa a questo punto appare la trilogia de Il sole dell’avvenire, epopea di inestimabile valore su alcuni braccianti e contadini romagnoli nell’epoca post risorgimentale. Una specie di omaggio alle proprie radici che rifulge a sua volta come ulteriore e fantastico cambio di mondo, tanto è oramai lontana e recisa la radice antropologica da cui discendiamo e che qui viene esposta nel suo più crudo e valoroso realismo. A questo punto le apparenti bagattelle direttamente dentro le battaglie garibaldine risorgimentali (1849 I guerrieri della libertà – 2019; Gli anni del coltello 2021) elevano le peculiarità di tutta la carriera del nostro: da un lato l’azzardo fantasioso del mondo antico e sconosciuto, dall’altro le tracce vere e inoppugnabili derivanti da accanite e profonde ricerche storiche sociali per non far mai volare i propri paladini romanzati su basi improbabile e ridicole. Serissimo lo storico Evangelisti che costruisce scrupolosamente le vite degli altri, degli sfruttati, dei deboli, dei disgraziati, dei tagliagole come degli ubriaconi, delle puttane come delle operaie; creativo come nessuno quando fa diventare le tracce di storia modello “Annales” un’astronave che viaggia essa stessa nel tempo ricordandoci ad ogni passo, pagina e rigo, la sua impressionante, brutale, mai caduca disumanità. Un romanziere “comunista” che da oggi mancherà tantissimo.

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