Asserragliati e pronti a sparare fino all’ultimo proiettile, hanno già annunciato che non si arrenderanno mai. Sono i militari del battaglione Azov e i marines della 36esima brigata ucraina, consapevoli di non avere via d’uscita e sotto in un rapporto di “dieci a uno” con le truppe russe, come spiegato dal comandante Serhiy Volyna, i resistenti dentro le acciaierie Azovstal di Mariupol, l’ultima fortezza da difendere prima che la città martire capitoli definitivamente. Il siderurgico si è trasformato nel teatro di una delle battaglie più cruente dell’invasione ordinata da Vladimir Putin, da un lato per la conformazione dell’impianto – un dedalo di bunker e altoforni, adatto a una “guerra urbana” – e dall’altro per la necessità di Mosca di espugnarla a ogni costo visto che a difenderla ci sono gli uomini di Azov, gruppo con simpatie neonaziste, il cui annientamento darebbe un minimo di senso in patria alla “denazificazione” usata come martellante claim della “operazione militare speciale”.
Ma quanti sono i combattenti ucraini dentro Azovstal? E sono da soli? Secondo le stime russe, a difesa del siderurgico ci sono 2.500 militari tra battaglione Azov e marines della 36esima brigata. A loro si aggiungerebbero circa 400 volontari stranieri arrivati nelle scorse settimane in Ucraina. Mosca avrebbe invece ammassato in città circa 12mila soldati. E può ovviamente disporre di supporto aereo e navale per bombardare l’area – circa 11 chilometri quadrati – delle acciaierie. Una superiorità enorme che, stando alle parole di Volyna in un video rilasciato mercoledì notte, sarebbe ancora più schiacciante. Il comandante della 36esima brigata ha parlato di un rapporto di “dieci a uno”. Prendendo per buone le sue parole, i russi avrebbe quindi a disposizione circa 30mila soldati o le stime di Mosca sul numero di militari a difesa di Azovstal è gonfiata e quindi all’interno si troverebbero non più di 1.500 combattenti.
È certo, invece, che nell’acciaieria si trovino anche civili. Molti parlano di centinaia di persone, alcuni azzardano migliaia. Impossibile stabilire in maniera indipendente perché abbiano trovato rifugio nell’area della battaglia finale per Mariupol. Sulla loro pelle si combatte da giorni uno scambio di accuse tra Mosca e Kiev. Per i russi il battaglione Azov li usa come “scudi umani”, mentre gli ucraini ribattono che finora i corridoi umanitari sono di fatto stati impossibili perché i combattimenti non si sono mai interrotti. Nello stesso video in cui annunciava che la resistenza potrebbe durare ore o al massimo gorni, Volyna ha chiesto di evacuare donne e bambini verso Paesi terzi, mentre – annunciando un nuovo tentativo di corridoio concordato verso Zaporizhizhia, poi fallito – il sindaco di Mariupol Vadim Boychenko ha spiegato che i 90 autobus a disposizione si fermeranno anche vicino all’acciaieria. “Durante questi giorni lunghi e incredibilmente difficili, siete sopravvissuti in condizioni disumane”, ha commentato il sindaco riferendosi ai cittadini, ricordando che la popolazione ha trascorso questi giorni “nel vuoto informativo, senza accesso ad alcuna informazione”.
Un suo assistente, Pyotr Andryushchenko, ha spiegato al New York Times che “molte” delle persone rinchiuse nei bunker dell’Azovstal “volevano evitare di essere sfollate o deportate, quindi hanno trovato protezione con le nostre truppe, nel seminterrato dello stabilimento”. Secondo Galina Yatsura, portavoce di Metinvest, proprietaria dello stabilimento, dentro è rimasto anche un “certo numero di dipendenti” che dopo l’inizio dell’invasione ha continuato a lavorare per preparare i rifugi antiaerei. Secondo due lavoratori del colosso metallurgico, nei primi giorni dell’assedio ci sarebbero state oltre 2mila persone e sarebbero rimasti anche molti membri delle loro famiglie. “Sin dalla prima invasione, abbiamo tenuto i bunker in buono stato e riforniti di cibo e acqua”, ha detto Yatsura al Nyt spiegando che dentro i sotterranei di Azovstal possono trovare riparo fino a 4mila persone e che i bunker hanno una capacità di stoccaggio di cibo e acqua per tre settimane. Trattenuti, mal informati, volontariamente rimasti, magari per legami di parentela con i combattenti: versioni divergenti, spesso contrapposte, che forniscono possibili spiegazioni a una corposa presenza di civili nel teatro della battaglia finale per la conquista di un primo obiettivo strategico da parte di Mosca.