Cambia ancora la proposta di legge di riforma del Csm e dell’ordinamento giudiziario in discussione alla Camera. Un nuovo vertice dei responsabili Giustizia di maggioranza con la ministra Marta Cartabia ha deciso di sopprimere le norme – frutto di subemendamenti approvati in Commissione – che introducevano il sorteggio dei distretti di Corte d’Appello per formare i collegi per l’elezione dei membri togati del Consiglio. Si torna dunque al testo licenziato dal governo lo scorso febbraio, che prevede che i collegi siano formati da distretti in “continuità territoriale” l’uno con l’altro. Uno dei due relatori, il pentastellato Eugenio Saitta, spiega: “Abbiamo condiviso la valutazione che il sorteggio avrebbe portato l’effetto di rafforzare il peso delle correnti, anziché diminuirlo. Un magistrato che si candida e ha come elettori colleghi che neanche lo conoscono conduce inevitabilmente ad appoggiarsi alle correnti”. Il dietrofront consiste in un emendamento della Commissione giustizia che riproduce il testo del governo: i collegi “sono formati in modo tale da essere composti, tendenzialmente, dal medesimo numero di elettori” e “sono determinati con decreto del ministro della Giustizia, sentito il Csm, emanato almeno quattro mesi prima del giorno fissato per le elezioni” (con una norma transitoria per permettere il rinnovo dell’organo fissato al prossimo luglio).

Nel frattempo il voto in Aula rischia di slittare alla seduta di martedì prossimo. Il motivo sta nella mancanza del parere obbligatorio della Commissione Bilancio: la bozza di sessanta pagine è arrivata solo oggi al ministero della Giustizia, che dovrà rispondere alle osservazioni prima che il documento possa diventare definitivo. Solo a quel punto potranno iniziare le votazioni sui singoli articoli del testo (inizialmente in programma per le 16 di mercoledì): è sempre più probabile che la pratica sarà calendarizzata dopo il weekend, frustrando l’obiettivo della ministra di arrivare all’approvazione entro giovedì. Alla fine gli emendamenti depositati sono stati meno del previsto: la maggior parte dei partiti di maggioranza (M5S, Pd, Forza Italia, Coraggio Italia, Azione e Leu) ha rinunciato a proporne. In totale se ne dovranno discutere e votare circa 250, di cui circa 170 provenienti dalle forze di opposizione (Fratelli d’Italia e Alternativa) e 55 da Italia Viva, che ha già annunciato per bocca di Matteo Renzi l’astensione sul voto finale. La Lega invece ne ha presentati tre, che ripropongono i temi dei referendum sulla giustizia: separazione delle carriere, responsabilità civile diretta e limiti alle misure cautelari. Il Movimento 5 Stelle ha rinunciato a proporre di riportare almeno a due i passaggi di funzioni giudice/pm, ma ha annunciato l’astensione su quella parte del testo (articolo 12).

Ed è scongiurata – almeno per ora – anche la minaccia del primo sciopero della magistratura dai tempi di Berlusconi: dopo la conferenza stampa convocata per manifestare contrarietà alla riforma, il Comitato direttivo centrale dell’Anm – il “parlamentino” del sindacato delle toghe – ha approvato a maggioranza il documento proposto dalla Giunta esecutiva affidando all’Assemblea degli iscritti, convocata per il prossimo 30 aprile e a cui verranno invitati “i responsabili Giustizia dei vari partiti politici”, il compito “di deliberare su ogni efficace forma di protesta, ivi compresa la proclamazione di una giornata di astensione dall’attività giudiziaria”. Nel frattempo l’Anm ha indetto una “Notte Bianca sulla riforma dell’ordinamento giudiziario”, invitando le sezioni locali “a organizzare, negli uffici giudiziari capoluogo di distretto, eventi serali di informazione e dibattito con avvocati, giornalisti, esponenti dell’accademia e della società civile. E incoraggia “gli uffici giudiziari a predisporre comunicati da diffondere agli organi di stampa, documenti da leggere in apertura delle udienze e manifesti da affiggere sulle porte delle aule e degli altri locali aperti al pubblico”. Data per certa l’approvazione alla Camera, insomma, l’obiettivo – come ha detto il presidente Giuseppe Santalucia – è scongiurare l’ok nello stesso testo anche al Senato.

Nel documento si conferma il parere critico sul testo: secondo il sindacato, la riforma “esaspera la competizione fra i colleghi e lascia immutati gli ambiti di amplissima discrezionalità” del Consiglio superiore della magistrature nell’ambito delle nomine, “che si prestano a quelle distorsioni per logiche di potere e di appartenenza correntizia del recente passato”. Con il fascicolo per la valutazione che raccoglie le statistiche sulla conferma delle sentenze e l’accoglimento delle richieste cautelari, in particolare, si trasformano “i magistrati in burocrati, piegandoli a forme di conformismo giudiziario e di soggezione ai capi degli uffici, mortificando la vitalità dell’interpretazione normativa che deve sapersi adeguare all’evolversi della società e alle istanze di tutela dei cittadini e non allinearsi pedissequamente a quella dei giudici dei gradi superiori”. Mentre con il limite a un solo passaggio di funzione tra pm e giudice (o viceversa) “si sopprime la fisiologica osmosi di esperienze che sarebbe prezioso custodire e preservare, si allontana il pubblico ministero dalla cultura della giurisdizione, ravvisando nel cambio di funzioni una esperienza patologica, da isolare e presto rimuovere, nella carriera del magistrato”.

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