Colpo al clan Moccia di Afragola (Napoli). Che per reinvestire imponenti capitali, frutto delle sue attività illecite, aveva allungato i tentacoli sullo smaltimento degli olii esausti, degli scarti di macellazione e anche sui grandi appalti ferroviari e dell’alta velocità. A sostenerlo sono i carabinieri del Ros e i finanzieri del Gico della Guardia di Finanza di Napoli che, coordinati dalla Procura partenopea, all’alba di oggi hanno notificato, complessivamente, 59 misure cautelari e sequestrato beni per 150 milioni di euro, tra Ferrari e imbarcazioni, immobili e quote societarie. I reati contestati – tutti nella forma aggravata in quanto commessi per agevolare il clan – vanno dall’associazione mafiosa all’estorsione, dalla corruzione al favoreggiamento.

Tra i destinatari delle misure cautelari i fratelli Antonio, Angelo e Luigi Moccia (questi ultimi trasferitisi da tempo a Roma) e un loro cognato, Filippo Iazzetta. Tra coloro che sono finiti ai domiciliari figurano anche Andrea Guido, consigliere comunale di Lecce, indagato per corruzione in relazione a vicende risalenti al 2017 quando era assessore all’ambiente, e il barese Pasquale Finocchio (anche per lui il gip di Napoli ha disposto gli arresti domiciliari) per vicende risalenti al 2017, quando era vicepresidente del Consiglio comunale di Bari. Per i carabinieri del Ros il clan Moccia portava avanti il business degli smaltimenti grazie alle relazioni messe in piedi in Puglia con la Sacra Corona Unita. È in questo contesto che si innesterebbe il coinvolgimento dei due politici cui viene contestato il traffico di influenze. Grazie a un imprenditore già attivo in Campania, Piemonte, Lazio e Veneto, riuscitosi ad inserirsi sul mercato pugliese con l’acquisizione di una società con sede a Bari (nelle province di Bari, Brindisi e Lecce) il clan sarebbe anche arrivato a concludere numerose convenzioni con amministrazioni comunali, per la raccolta di quei rifiuti.

Per gli appalti di RFI, i Moccia si avvalevano – secondo la Procura – di un gruppo di imprenditori, ritenuti legati al clan, le cui imprese possedevano regolari titoli e certificazioni antimafia. Ai domiciliari, in questo contesto, sono finiti due funzionari dell’unità territoriale di Napoli Est – Salvatore Maisto e Stefano Deodato – con l’accusa di corruzione. Avrebbero intascato 29mila euro. Tra gli appalti dell’Alta Velocità finiti nelle mani delle imprese legate alla camorra ci sarebbe anche quello per la manutenzione nella stazione di Afragola.
Il reato di favoreggiamento, infine, viene contestato anche a un tecnico dipendente di una società fornitrice di strumentazione idonea alle intercettazioni a varie Polizie Giudiziarie e Autorità Giudiziarie, che si è prestato per bonificare dalle microspie gli uffici di alcuni imprenditori. Dalle indagini è emerso anche che il clan era impegnato da tempo in una campagna di delegittimazione fatta di denunce ed esposti contro collaboratori di giustizia, esponenti delle forze dell’ordine e dell’Autorità Giudiziaria.

Secondo gli inquirenti i capi del clan camorristico Moccia “guidavano il sodalizio criminale e davano direttive a subordinati e imprenditori anche dal carcere o da Roma, dove due dei capi si erano da tempo trasferiti”. L’indagine ha permesso di far luce sulla struttura del clan Moccia, organizzata su diversi livelli di comando e competenza territoriale, della quale sono ritenuti capi i fratelli Angelo, Luigi e Antonio Moccia e il loro cognato Filippo Iazzetta; questi, anche dal carcere e sebbene Angelo e Luigi si fossero da tempo trasferiti a Roma, avrebbero veicolato ordini agli affiliati, anche promuovendo all’occorrenza la commissione di reati da parte dei vari sottogruppi territoriali, costituenti l’ala militare del clan, sia da imprenditori attivi nel settore del recupero degli olii esausti di origine animale-vegetale di tipo alimentare e degli scarti di macellazione, nonché nei grandi appalti ferroviari e dell’alta velocità, cui avrebbero impartito direttive e fornito ingenti provviste derivanti dall’accumulazione illecita, nel tempo, di ingenti capitali.

Per chi ha condotto le indagini c’era un’ala militare e una imprenditoriale al servizio del clan Moccia. I vertici avrebbero veicolato ordini agli affiliati, a vario livello subordinati, con reati consumati sia dai vari sottogruppi costituenti l’ala militare dell’organizzazione, “sia da imprenditori attivi nel settore del recupero degli oli esausti di origine animale/vegetale di tipo alimentare e degli scarti di macellazione, nonché nei grandi appalti ferroviari e dell’alta velocità. A loro avrebbero impartito direttive e fornito ingenti provviste derivanti dall’accumulazione illecita nel tempo di ingenti capitali”, sottolinea l’ufficio inquirente guidato da Giovanni Melillo.

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