Al 58esimo giorno di guerra, la città martire di Mariupol resiste con i suoi duemila uomini, soldati e civili, asserragliati nell’acciaieria Azovstal. Il vicesindaco assicura che la città non è caduta e Putin rinuncia al bombardamento per evitare un bagno di sangue, afferma, ma più probabilmente per l’importanza della fabbrica e la mancanza delle risorse militari necessarie. Mariupol quindi resiste, pur non avendo mezzi per uscire dalla sua trappola di cemento che è diventata trappola anche per gli aggressori. Uno stallo sul terreno che potrebbe dare a Putin un’arma negoziale e di propaganda in più, ma dal quale ha deciso uscire lasciando un manipolo di militari a guardia dello stabilimento (“non deve uscire una mosca”) per dislocare gli altri al fronte delle altre battaglie in corso. Tutto questo segna una svolta nella guerra? Gli esperti si dividono. Abbiamo sentito quattro ex generali italiani che osservano lo scenario cogliendo elementi anche diametralmente opposti. Eccoli.

MARCO BERTOLINI
Ex comandante del Comando Operativo di Vertice Interforze
“Mariupol segna una svolta, ma gli Usa tengono in ostaggio la pace”

Da un punto di vista tattico la presa di Mariupol segna sicuramente una svolta, nel senso che due terzi degli obiettivi che la Russia ha dichiarato – vale a dire il Donbass, la Crimea e l’Ucraina non nella Nato – sono stati conseguiti. Il Donbass a questo punto viene a essere sotto controllo della Russia, lo stesso discorso vale per la Crimea, da un punto di tattico dunque la guerra di Putin avrebbe ottenuto il suo risultato. Il problema è che non c’è l’intenzione di chi supporta Zelenzky ad arrivare a una pace. La Von Der Layen ha detto che bisogna “arrivare alla vittoria”, ma che significa poi la sconfitta della Russia. Se queste sono le premesse vuol dire che l’Europa spinta dagli Usa si sta orientando ad alimentare una lotta continua contro la Russia che potrebbe durare a lungo. Le conseguenze sono ragionamenti di carattere più politico che tattico. Ma da quel sto punto vista ha avuto quello che ha dichiarato, l’obiettivo della Ucraina non fuori dalla Nato deve essere raggiunto per via negoziale. Ma se il negoziato non c’è perché gli Usa non lo vogliono, la guerra va a vanti chissà quanto. E questa è una cosa spaventosa.

ANTONIO LI GOBBI
Ex direttore operazioni Stato Maggiore Internazionale della Nato
“Azovstal come merce di scambio e propaganda. Ma a Putin non basta”

Soldati e civili imprigionati all’Azovstal saranno probabilmente merce di scambio e di propaganda per Putin. Ma nonostante la presa di Mariupol, con le perdite umane e di credibilità che ha subito a livello militare e politico, trattare ora rappresenterebbe una sconfitta cui potrebbe non sopravvivere. Mi riferisco al compattamento della NATO e alla decisione di Finlandia e Svezia di aderirvi. Presumo che aspiri ancora ad acquisire una fascia sul confine orientale dell’Ucraina, la più ricca di risorse minerarie, eventualmente con Kharkiv, oltre alla fascia costiera sul Mar Nero (potrebbe aver abbandonato l’obiettivo di acquisire Odessa e congiungersi alla Transnistria). Non credo intenda spingersi a nord o a ovest del Dniepr e comunque non avrebbe le risorse per farlo. Deve tener conto del prestigio acquisito da Zelensky e del massiccio sostegno fornito da USA e NATO alle forze ucraine. Comunque in questi due mesi Putin ha fatto scelte che non paiono sempre ponderate e ciò lo rende più pericoloso, specie se si sentisse con le spalle al muro.

LEONARDO TRICARICO
Ex capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare
“Putin ha già perso, ora l’Europa si smarchi dagli Usa”

Alla parata del 9 maggio parlerà ai russi di vittoria. Ma nella campagna d’Ucraina Putin ha subito una sconfitta militare tale da certificare che Mosca in futuro non sarà più un pericolo. Non ha raggiunto gli obiettivi minimi prefissati. Neppure Mariupol è caduta, soldati e civili non rendono le armi. E’ pure dubbio che le sue forze riescano a tenere quel che han conquistato. Così assistiamo al tragico gioco dell’oca al ribasso, coi soldati che colpiscono con più brutalità e il loro leader che sembra Kim Jon-un, tra la sceneggiata per un ordinario missile intercontinentale o la diretta streaming con Shoigu. La sconfitta ora interroga noi. Il differenziale militare emerso con la Nato ridimensiona il pericolo ad Est nei decenni a venire: dal pacchetto di mischia capeggiato dagli Usa sarebbe ora si levassero voci critiche dei governi europei per chiedere di promuovere la fine delle ostilità, anziché la perentoria campagna per la sconfitta totale di Putin che potrebbe durare anni.

VINCENZO CAMPORINI
Ex capo di stato maggiore dell’Aeronautica militare e della Difesa
“Lasciata Kiev, persa Odessa, si accontenta del Donbass”

Siamo incollati da giorni sull’acciaieria di Mariupol, ma nelle ultime 36-48 ore sul terreno non succede proprio nulla: i russi attaccano, ripiegano, ma non c’è un’azione incisiva che faccia pensare a qualcosa di diverso da quel che Putin ha dichiarato di volere. Se ha rinunciato a schiacciare gli ultimi resistenti nel fortino è perché impegnava lì quote consistenti delle forze necessarie all’obiettivo tatticamente più rilevante dell’occupazione, quel che rimane delle due province del Donbass. Così ha deciso di lasciare un piccolo presidio per impedire che vengano allo scoperto e di mandare gli altri a combattere sul fronte. Dove però non stanno conseguendo grandi risultati per diversi motivi, non ultime le piogge che impantanano i blindati. L’affondamento del Moskva che ha inferto un duro colpo all’orgoglio russo ha anche fermato il piano d’attacco ad Odessa. Putin non ha le forze per estendere il conflitto, aggredendo territori dove incontra una resistenza sempre più armata.

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