I dati satellitari Nasa elaborati dalla società di consulenza OilX inducono a stimare che negli ultimi giorni la produzione sia scesa a 9,7 milioni di barili al giorno, il 10% in meno rispetto ai valori abituali. Nell'incertezza diversi operatori iniziano a smettere di acquistare greggio russo
Secondo quanto scrive l’agenzia Bloomberg , sanzioni e decisioni di alcune grandi compagnie petrolifere (ad esempio la francese Total) di evitare le forniture dalla Russia iniziano ad produrre contraccolpi sulla produzione. L’agenzia cita le risultanze dei monitoraggi satellitari da cui emerge una scarsa luminosità dei giacimenti. Spiegazione: quando si estrae petrolio fuoriese anche gas che in parte viene bruciato e produce quindi fiamme. Più si estrae, maggiore è la produzione, più alte e visibili sono le fiamme. In base alle rilevazione satellitare e ad alcuni riscontri con operatori del settore e “fughe” di dati da Mosca, emerge che la produzione sarebbe in calo di circa il 10%. Ogni giorno la Russia, terzo produttore al mondo, in tempi normali estrae circa 11 milioni di barili. Ai valori di mercato attuali un miliardo e cento milioni di dollari di petrolio. Un calo del 10% significa lasciare sottoterra 100 milioni di dollari ogni giorno. E’ verosimile che il calo continui, soprattutto se anche l’Unione europea dovesse decidere di mettere al bando il greggio russo seguendo le deliberazioni di Stati Uniti, Canada e Gran Bretagna (a partire da fine anno).
È probabile che la produzione petrolifera russa diminuisca ulteriormente nei prossimi mesi. I dati satellitari Nasa elaborati dalla società di consulenza OilX inducono a stimare che negli ultimi giorni la produzione sia scesa a 9,7 milioni di barili al giorno. Secondo Bloomberg la produzione russa di greggio si è dimostrata sinora più resiliente del previsto, ne è testimonianza l’andamento del prezzo del barile balzato fino a 139 dollari nei primi giorni dell’invasione dell’Ucraina salvo poi riportarsi intorno ai 100 dollari mentre il greggio russo continuava a fluire sul mercato e dopo il rilascio di riserve strategiche da parte degli Stati Uniti. Gli ordini provenienti dall’Asia hanno in una certa misura compensato le timidezze degli acquirenti occidentali. A conferma delle crescenti difficoltà delle compagnie russe si citano alcune soluzioni commerciale adottate per cercare di piazzare i barili.
Il colosso statale Rosneft sta cercando di vendere milioni di barili di greggio in Europa e in Asia tramite gare che si chiuderanno domani mentre solitamente la società vende tramite accordi a lungo termine con trader di materie prime come Vitol Group, Trafigura Group e Glencore Plc. Tuttavia anche questi operatori devono fare i conti che la scadenza del 15 maggio dall’UE che limita i loro rapporti con Rosneft e molte altre società russe alle attività “essenziali” necessarie per rifornire l’UE. Dove si collochi la quantità “essenziale” è oggetto di varie interpretazioni e conseguente speculazioni ma nell’incertezza molti trader stanno semplicemente riducendo gli acquisti.
Nel frattempo, secondo quanto comunica il colosso statale russo Gazprom, i flussi di gas verso l’Europa continuano regolarmente, anche quelli che transitano dall’Ucraina e arrivano in Italia. Tuttavia da alcune settimane i metri cubi che entrano nella rete italiana dal Tarvisio sono bassi, circa la metà del normale, probabilmente per scelta degli acquirenti che preferiscono altri fornitori, Algeria e forniture via nave in primis. I depositi italiani di gas hanno da qualche giorno ricominciato a riempirsi ma al momento sono a circa il 33% della loro capacità complessiva. Su 18-20 miliardi di metri cubi che possono essere stoccati ce ne sono adesso 6. In caso di improvvisa interruzione dei flussi russi sufficienti per compensare il gap per un paio di mesi.