Realizzato da Renexia e costato 80 milioni, il sito comprende dieci pale per una capacità complessiva di 30 MegaWatt e secondo le stime assicurerà una produzione di oltre 58mila MWh, pari al fabbisogno annuo di circa 60mila persone. L'iter autorizzativo durato ben 14 anni ha spinto Legambiente a manifestare a favore dell’impresa: “È un caso emblematico della via crucis autorizzativa del nostro Paese: il progetto proposto nel 2008 ha avuto la contrarietà degli enti locali e ricevuto il parere negativo della Sovrintendenza per un incomprensibile impatto visivo"
Un parco eolico sotto le ciminiere. L’energia prodotta dal vento come contraltare alla produzione di acciaio attraverso il carbone. Le rinnovabili, insomma, a qualche chilometro dalle produzioni fossili. Succede a Taranto, la città dell’ex Ilva, dove nelle scorse ore è stato inaugurato “Beleolico”, il primo parco eolico off shore del Mediterraneo. Realizzato da Renexia, società del Gruppo Toto, comprende dieci pale per una capacità complessiva di 30 MegaWatt e secondo le stime dell’azienda assicurerà una produzione di oltre 58mila MWh, pari al fabbisogno annuo di circa 60mila persone. “In termini ambientali – ha spiegato Renexia in una nota – vuol dire che, nell’arco dei 25 anni di vita prevista, consentirà un risparmio di circa 730mila tonnellate di anidride carbonica”.
Un investimento complessivo pari a 80 milioni di euro, ma soprattutto un iter autorizzativo che è durato ben 14 anni e ha spinto Legambiente a manifestare, ma questa volta a favore dell’impresa: “È un caso emblematico della via crucis autorizzativa del nostro Paese: il progetto proposto nel 2008 ha avuto la contrarietà degli enti locali e ricevuto il parere negativo della Sovrintendenza per un incomprensibile impatto visivo, considerando la presenza delle ciminiere dell’ex Ilva, della raffineria Eni, del cementificio e delle gru del porto industriale” ha dichiarato Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, ospite della tavola rotonda a margine dell’inaugurazione del parco eolico. “Il caso di Taranto – ha aggiunto Ciafani – è purtroppo solo la punta di un iceberg perché in Italia sono tanti i progetti sulle rinnovabili bloccati per eccessiva burocrazia, no delle amministrazioni locali, pareri negativi delle Sovrintendenze, moratorie delle Regioni, proteste dei comitati locali e di alcune associazioni ambientaliste. Tutto ciò è inammissibile. Il Paese – ha concluso il presidente di Legambiente – dovrebbe chiedere scusa alle aziende che in Italia stanno investendo sulle fonti pulite”. Ed è anche per questi lunghi ritardi che oggi il parco ha suscitato perplessità per la sua estrema vicinanza alla costa. Il progetto, infatti, risale al 2008 quando non c’erano ancora le tecnologie necessarie per costruirlo a una distanza significativa dalla costa. A rendere difficoltoso l’avvio del parco sono stati negli anni diversi fattori: il no delle precedenti amministrazioni alla guida del Comune di Taranto che hanno portato la vicenda dinanzi ai tribunali amministrativi e dato infine ragione all’azienda e poi anche le prescrizioni imposte da alcuni organi competenti. Come quella di colorare di nero alcune delle pale per assicurarsi che gli stormi in viaggio avvistassero le strutture e deviassero la rotta di volo: una disposizione, però, giunta dopo che il materiale era stato acquistato e che quindi ha richiesto un tempo maggiore per l’adeguamento alle imposizioni. Non solo. Anche la stessa fornitura delle grosse macchine che compongono le pale eoliche è stata difficoltosa: Renexia si era inizialmente rivolta a un’impresa tedesca poi fallita costringendo la società a rivolgersi a un altro fornitore cinese. Ma al di là di questi imprevisti, è la burocrazia italiana ancora una volta a finire sul banco degli imputati. E da più parti c’è chi invoca, per questi progetti, l’adozione del modello americano che ha un solo ufficio competente sulle autorizzazioni a differenza dell’Italia in cui tra enti locali, nazionali, soprintendenza e comitati, entrano in campo troppi attori.
Il primo parco offshore del Mediterraneo non è emblematico solo per la scelta di Taranto, città avvelenata per decenni dai veleni industriali della fabbrica siderurgica, ma anche perché sarà l’occasione per studiare gli effetti sui delfini che ormai sono stanziali nel mare di Taranto. Per Carmelo Fanizza, presidente e fondatore di “Jonian Dolphin Conservation”, l’associazione di ricerca scientifica che da anni studia e monitora la presenza dei cetacei nel Golfo di Taranto ed è ormai un punto di riferimento per gli studiosi di tutto il mondo, “l’inaugurazione di ‘Beleolico’ rappresenta sicuramente un passo importante verso il futuro sostenibile della nostra Penisola, ma ancor di più fornisce una straordinaria opportunità per approfondire le conoscenze sugli effetti che questi impianti potrebbero generare sull’ecosistema marino e, più in particolare, sui mammiferi marini. Tali conoscenze – ha spiegato Fanizza a ilfattoquotidiano.it – saranno fondamentali per individuare le migliori strategie di mitigazione da porre in essere per una corretta pianificazione dello sviluppo dell’eolico off-shore in Italia”. Taranto, insomma, potrebbe diventare per la prima volta un caso di studio in tema ambientale, ma non come modello da evitare. Una vera rivoluzione nell’era della transizione ecologica che ha coinvolto anche il porto ionico: l’Autorità Portuale e Renexia, infatti, hanno siglato un accordo per la cessione di una parte dell’energia prodotta da Belolico per consentire la totale elettrificazione del Porto di Taranto. Una quota pari almeno al 10 per cento dell’energia prodotta: Sergio Prete, presidente dell’Autorità di sistema portuale e Riccardo Toto, direttore generale di Renexia, hanno sottolineato che elettrificare il porto significa assicurare una riduzione molto elevata dell’inquinamento: ogni nave ormeggiata in Porto con i motori accesi produce un inquinamento su base giornaliera pari a quello di 10mila vetture. Una storia quasi avveniristica per la città dei due mari che, in vista di questo futuro sostenibile, continua a fare i conti col carbone, ma sogna uno sviluppo diverso.