Ci sono due modi di celebrare il 25 aprile quale data della Liberazione dal nazifascismo. Il primo, quello più tristemente diffuso (e ormai fiacco), consiste nella retorica di appellarsi a un antifascismo di maniera, quindi soltanto ideologico e formale (bandiere, manifestazioni, parate etc.).

Sarebbe ora di affermare il secondo, più sostanziale e spendibile anche nel presente. Questo secondo modo considera il nazifascismo non come un fenomeno magico, improvvisamente apparso da una scena altra rispetto a quella umana e infine dissoltosi definitivamente nel 1945. Per cui è sacrosanto ricordare e celebrare l’antifascismo riferito al ventennio di Hitler, Mussolini e altri, ma occorre considerare che il nazifascismo della prima metà del Novecento è stato il culmine di tendenze sempre presenti nel mondo umano, prima di quel periodo e – per quello che ci riguarda – anche dopo.

Uscire dalla retorica e considerare la sostanza significa ricordare che il nazifascismo si è fondato su tre pilastri portanti: la gerarchia fra gli uomini (dominio e sfruttamento di razze e ceti superiori su quelli inferiori); la soppressione della democrazia politica e della libertà individuale; una capillare campagna di comunicazione volta a celebrare il regime e ad affermare come “nemici oggettivi” (quindi da incarcerare o eliminare) tutti coloro che non aderiscono integralmente ai suoi dogmi.

L’antifascismo smette di essere soltanto retorica e diventa sostanza nella misura in cui ci chiediamo quanto (e quale) di quel fascismo – pur nei tempi fortunatamente mutati – è ancora vivo e vegeto nel nostro presente. Specificamente nel sistema liberale in cui viviamo, sciaguratamente tornato a declinarsi in termini di liberismo spinto, con conseguente aumento delle disuguaglianze, soppressione dei diritti sociali e formazione di poteri oligarchici (banche, finanza, etc.) che godono di privilegi preclusi alla stragrande maggioranza dei cittadini. L’Italia non fa eccezione, anzi, nel vedere sempre meno persone che detengono la gran parte della ricchezza economica.

Lo stesso sistema che incarcera Julian Assange, colpevole del “reato” di giornalismo per aver svelato i crimini dell’Occidente liberale nelle guerre contro l’Afghanistan e l’Iraq. Ma ancora, il medesimo sistema che marchia di infamia (come “figli di Putin”) coloro che provano a elaborare un ragionamento più articolato sulla guerra Russia-Ucraina, rifiutando di omologarsi alla versione governativa. È il caso della scrittrice e giornalista de Il Fatto Quotidiano Daniela Ranieri – bersaglio degli strali social di partiti liberali come Italia Viva e Azione – che ha dovuto iniziare a querelare per difendersi dall’accusa di essere una “putiniana” soltanto perché si ostina a criticare la visione unilaterale dei paesi Nato.

Occorre precisare che nessun partito odierno è esente da forme di “fascismo social”, né ci si deve stupire che un sistema liberale le contenga. Basti pensare che nel 1927 (quando la dittatura di Mussolini si era rivelata in tutta la sua violenza), un autore liberale come Mises – pur di contrastare il comunismo – riconosceva al fascismo il merito di aver “salvato la civiltà europea”, attribuendogli per questo “un merito che vivrà in eterno nella storia”. Prima ancora ci aveva pensato il nostro Benedetto Croce, liberale anch’egli, a dire che alcuni ceffoni non hanno mai fatto male a nessuno (stava commentando le prime spedizioni fasciste contro gli operai in sciopero).

Meglio precisare: il nostro non è il tempo di quel tipo di fascismo né di quei liberali inizialmente entusiasti delle violenze, sarebbe sciocco sostenere il contrario. Tuttavia è sempre il tempo delle guerre che possono estendersi, delle propagande di parte (putiniane e occidentali), delle gerarchie e dei privilegi, delle libertà soppresse e degli insulti o peggio a chi non si conforma alla visione del governo russo (in Russia) o dei governi Nato (in Occidente).

Il regime di Putin è certamente più violento e liberticida – secondo una triste e lunghissima tradizione di quelle terre – ma soltanto perché noi occidentali possiamo permetterci di esercitare quelle violenze ben lontano dai nostri confini protetti. In patria ci limitiamo al “fascismo farsesco”, quello di chi vuole escludere atleti e artisti russi da competizioni e manifestazioni, o quello dei giornalisti e notisti zelanti che sono pronti a mettere alla gogna chi si ostina a ragionare fuori dagli schemi precostituiti.

Quindi sì, celebriamolo con tutti gli onori questo 25 aprile del 2022, non solo sventolando bandiere e ricordando il passato che fu, ma anche e soprattutto utilizzando quella memoria storica per combattere ogni fascismo che si annida nel nostro presente. Senza smettere di ragionare sul fatto che stiamo parlando di un fenomeno nato in Europa…

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