Un testa a testa così serrato non si vedeva da tempo in Slovenia. Le elezioni parlamentari di domenica 24 aprile si preannunciano decisamente incerte e a contendersi la maggioranza del Državni zbor, la Camera bassa del Parlamento sloveno che è l’unico organo eleggibile, sono in due: il partito dei Democratici Sloveni dell’attuale premier Janez Janša e il Movimento per la Libertà, formazione politica nata dalle ceneri del partito dei Verdi e guidata dal manager Robert Golob. Proprio la discesa in campo dell’imprenditore nativo della provincia di Nova Gorica, che ha lavorato soprattutto nel settore dell’energia, ha reso la competizione decisamente più serrata come testimoniano gli ultimi sondaggi, che danno il partito del premier al 26 per cento e quello di Golob al 25. Decisamente più staccati tutti gli altri: formazioni politiche storiche, come i socialdemocratici, la Nuova Slovenia e la Sinistra, vengono date rispettivamente al 9, al 7 e al 5 per cento.

Il nervosismo di Janša e la guerra ai media
Il risultato delle urne non sembra scontato e il pericolo di finire all’opposizione è piuttosto reale per Janša, che su Twitter ha iniziato a controbattere ai suoi avversari e a irridere il loro leader per il cognome (Golob in sloveno significa piccione). Non un fatto nuovo, se consideriamo che sempre sui social il Maresciallo Twito, soprannome affibbiato a Janša per la sua nota passione per Twitter, ha spesso condotto le sue campagne mediatiche contro uno dei suoi obiettivi preferiti: i giornalisti. “Il nostro primo ministro ha dichiarato guerra ai media in un lungo post apparso sul sito web del governo nel maggio 2020“, racconta a ilfattoquotidiano.it Špela Stare, segretaria generale dell’Associazione slovena dei giornalisti. Il post in questione è una lunga dichiarazione di Janša, allora premier da soltanto due mesi, in cui teorizzava la disintermediazione tra politica ed elettorato a danno dei media, considerati non obiettivi, arrivando a paventare dei “pogrom mediatici” per i non allineati al pensiero del primo ministro. “Un’atmosfera di intolleranza e odio viene diffusa da un circolo ristretto di redattrici donne, che hanno legami sia familiari che finanziari con lo Stato profondo, e da un manipolo di giornalisti e freelance mediocri o peggio, sia uomini che donne in questo caso, che in un giornale normale non avrebbero il permesso di scrivere della fiera contadina del Paese”, scriveva Janša.

Da allora le definizioni, anche offensive, nei confronti degli organi di informazione, non sono mancate. “Nei suoi recenti tweet è stato particolarmente critico nei confronti dei giornalisti di RTV Slovenija, l’emittente pubblica del nostro Paese, che ha definito putinisti. Ha anche insultato i colleghi del canale televisivo commerciale Pop TV, che avevano osato sollevare dei dubbi sulla sua decisione di visitare Kyiv, sostenendo che seguissero fedelmente le istruzioni del Cremlino e attaccassero chi cerca di aiutare l’Ucraina. Ha definito i media una vergogna nazionale e ha persino accusato la categoria di essere prevenuta nei suoi confronti e di essere responsabile della diffusione delle infezioni durante la pandemia”, sostiene Stare. Vittime dei suoi tweet soprattutto le giornaliste, sia nazionali che internazionali, come dimostra il caso di Evgenija Carl e Mojca Šetinc Pašek, accusate da Jansa nel 2016 di essere delle prostitute al servizio dell’ex presidente della Repubblica Milan Kučan soltanto perché avevano firmato un servizio sul partito dell’allora capo dell’opposizione. Sono invece diventate un vero e proprio caso internazionale le offese rivolte dal premier sloveno a Lili Bayer, reporter del giornale belga Politico Europe, che ha firmato un reportage sullo stato dei media nel Paese nel febbraio 2021. La risposta di Janša è stata affidata come al solito a Twitter, dove ha scritto che la giornalista era “pagata per mentire” e che Politico dovesse raccontare “menzogne per sopravvivere”, ricevendo una dura censura anche da parte dell’Unione europea.

La sfida a Golob e i media filogovernativi
Per questo la campagna elettorale nel Paese è stata piuttosto atipica. “Fino alla scorsa settimana Janša ha sistematicamente rifiutato gli inviti ai dibattiti preelettorali della maggior parte dei media sloveni, ad eccezione di quelli provenienti da emittenti filogovernative. Secondo lui, i ‘media mainstream’ nel Paese sono prevenuti nei suoi confronti e accondiscendenti nei confronti della sinistra, in quanto controllati da centri di potere che hanno origine dai tempi del comunismo. Il problema è che questo è il suo terzo governo e il suo terzo tentativo di subordinare gli organi di informazione. Da sempre i politici vogliono imporre i propri interessi o influenzare i media, ma non sono mai stati così brutali come in questi ultimi due anni. Janša sta seguendo la ricetta di altri politici populisti di stampo conservatore presenti nella regione, che vincono le elezioni attraverso il controllo dei media”, sottolinea Stare. Il riferimento, nemmeno troppo velato, è a Viktor Orban, appena riconfermato premier in Ungheria e grande amico di Janez Janša. Non è un caso che proprio dalla cerchia ristretta del primo ministro ungherese siano arrivati i finanziamenti per le tivù amiche del governo, come Nova24 TV e Planet TV, e che sia in atto da tempo una sorta di “orbanizzazione” della Slovenia, dove si respira un clima da eterna guerra civile in cui il primo ministro attacca tutti coloro che sono contrari all’ampliamento del suo raggio d’azione, dai giornalisti sino ai vertici europei di Bruxelles, che hanno più volte messo in dubbio la salute dello stato di diritto a Lubiana e criticato Janša per la libertà di stampa. Su questo punto fa leva Golob, che proprio sulla contrarietà all’operato del primo ministro ha fondato la sua campagna elettorale e il suo nuovo partito, visto che ha chiamato alla vicepresidenza del Movimento per la Libertà Urška Klakočar Zupančič, un ex giudice del tribunale di Lubiana cacciata per aver pubblicato sui social alcuni insulti rivolti al premier.

Il futuro degli organi di informazione
A prescindere da chi vincerà le elezioni saranno inevitabili alcuni cambiamenti nel settore, regolato da leggi ormai obsolete. A fare realmente la differenza sarà chi apporterà tali modifiche: un dettaglio non secondario in un Paese crollato al trentaseiesimo posto per la libertà di stampa secondo il World Press Freedom Index del 2021. “È inutile negarlo: se vincerà Janša potremo aspettarci una presa più stretta sui media. L’attuale governo ha completamente politicizzato le decisioni manageriali ed editoriali su RTV Slovenija ed è lecito aspettarci un’ulteriore subordinazione degli organi di informazione pubblici nel caso in cui i partiti di maggioranza vincano le elezioni”, afferma Stare. E se dovesse vincere Golob? Per la segretaria generale dell’Associazione slovena dei Giornalisti non ci sono dubbi. “I partiti di opposizione promettono di riformare il sistema, depoliticizzando gli organi di informazione pubblici e incentivando attraverso sussidi il sostegno al mercato. All’Associazione siamo ovviamente molto preoccupati che i processi avviati dal governo di Janša vadano anche oltre, ma nutriamo anche dei dubbi riguardo alle promesse dell’opposizione. La Slovenia ha ancora leggi sui media del primo governo di Janša, risalenti tra il 2004 e il 2008, e da allora abbiamo avuto dei cosiddetti governi di sinistra che non hanno cambiato nulla“.

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