Mariupol è ancora il bersaglio grosso delle bombe e dei colpi d’artiglieria, il fantasma di cemento armato dell’Azovstal aleggia sui negoziati e nel frattempo il fronte si allarga. Mosca ha esplicitato gli obiettivi della cosiddetta “fase due”: l’intenzione ora è prendersi mezza Ucraina e attaccare la Moldavia. Che questo piano riesca o meno, allontanerà la fine della guerra cui va messa in conto l’incognita che, anche in caso di successo, Putin riesca poi a controllare i territori che il suo esercito conquista. E che potrebbe animare un conflitto che si trascina per generazioni. Oggi sembra un tema lontano e secondario, un giorno sarà “il tema”, visto che la guerra in corso è la prosecuzione con ben altri mezzi e intensità di un conflitto che si trascina irrisolto da otto anni.
Ne parla al fattoquotidano.it David Rossi, tra i primi a sostenere – proprio su questo giornale – che l’acciaieria era “un fortino inespugnabile”, quando tutti sostenevano la caduta fosse questione di ore, tra i pochi a non credere affatto alle dichiarazioni ufficiali del Cremlino sulla volontà di “accontentarsi del Donbass”. Il responsabile geopolitica di Difesa Online ritiene che Putin non abbia risparmiato il simbolo della tragica resistenza ucraina per interessi economici, negoziali o umanitari ma perché “quella massa tentacolare di tunnel e officine sotterranei, sparsi su quattro miglia quadrate, era impenetrabile anche per le soverchianti forze appositamente dislocate nella zona”. Aggiunge ora che i 1300 tra militari e civili che resistono da quasi due mesi possono continuare per molti altri ma soprattutto quel contingente potrebbe – in caso di controffensiva da parte delle forze ucraine sostenute da nuove armi – liberare nel cuore dell’area occupata un contingente armato e disperato, capace di infliggere ingenti danni al contingente lasciato da Putin a presidiare l’area. Questo, in effetti potrebbe spiegare perché il ministro della Difesa russo Shoigu, nel famoso faccia-a-faccia con lo stesso Putin, avesse insistito sull’assedio al motto “ci vorranno 3-4 giorni per finire il lavoro”. E perché la risposta è stata un perentorio: “non attaccate”. Alla fine lo stesso Vladimir Putin ha definito “impraticabile” un piano per penetrare nel complesso, chiedendo dunque e il blocco dell’area “in modo che non possa passare neanche una mosca”.
E allora, meglio risparmiare gli uomini per dispiegarli altrove. Esattamente dove lo si è scoperto ieri, grazie a fonti ufficiali di Mosca. Il vicecomandante del Distretto militare centrale della Federazione russa, il generale Rustam Minnekaev, ha esplicitato così gli obiettivi della cosiddetta “seconda fase” dell’invasione: “Stabilire il pieno controllo del Donbass e dell’Ucraina meridionale, questo assicurerà un corridoio terrestre per la Crimea l controllo sull’Ucraina meridionale che consentirà anche l’accesso alla Transnistria, il territorio separatista filorusso della Moldova, dove pure sono stati osservati casi di oppressione della popolazione di lingua russa”. In pratica – sottolinea Rossi – “vogliono collegare la Transnistria alla Russia e bloccare l’accesso dell’Ucraina al Mar Nero, ai suoi prodotti agricoli e metallurgici, creando un danno economico enorme. Crolla così la residua illusione sul fatto che Putin dica il vero quando dichiara di volere il controllo del Donbass. Giornali e politici occidentali per giorni han dato credito a questa dichiarazione perché ci faceva dormire più tranquilli”. Una versione accomodante per un fronte trasversale che anche in Italia vede di buon occhio una resa ucraina nel Donbass, in cambio di un cessate il fuoco a stretto giro di posta. “Ma il fuoco continuerà lo stesso – ribatte l’esperto – . e la conferma ora è arrivata anche da autorevoli fonti russe. Se poi non riescono neppure questi obiettivi, metteranno in atto un terzo piano per riprovare”. Insomma, il tempo della guerra si dilata.
C’è un aspetto poi di cui ancora poco si parla: quel che Putin intende conquistare sarà in grado anche di mantenerlo? Il leader del Cremlino ora giubila per la “vittoria” su Mariupol e l’avanzata nel Donbass, per quanto dubbia e negata dal fronte occidentale. La farà anche pesare alla famosa parata del 9 maggio nella Piazza Rossa. Ma cosa succederà nei mesi e negli anni a venire? Non solo in campo militare, sul quale già nei primi mesi di guerra l’esercito ucraino ha ripreso posizioni e città. Il problema si ripropone più forte una volta abbassate le armi sul “fronte civile”. “E’ un aspetto alquanto trascurato ma non secondario – sottolinea Rossi – Il territorio che i russi dichiarano di voler prendere è grande come l’Italia, parliamo di circa 300mila chilometri quadrati. Faccio un paragone grossolano, per farmi capire: il nostro paese ha seri problemi di criminalità ma non invasori sul proprio territorio, per garantire l’ordine pubblico impiega 300mila tra poliziotti e carabinieri., vale a dire più del doppio delle forze che Mosca ha dispiegato finora”.
E come potrebbe immaginare Putin di gestirlo “dopo”? “Tradizionalmente ci sono due modi. Il primo è intensivo, che significa dislocare una quantità importante di militari e civili sul territorio per impedire che a un certo punto ti trovi decine di migliaia persone che scendono in strada e protestano (come accaduto col Maidan del 2014, ndr). Se non le controlli la situazione si fa ingestibile. Ma Mosca tutti questi uomini non li ha. Il secondo metodo è “estensivo”: si tratta di sminare dissensi, proteste e rappresaglie della popolazione che ha un atteggiamento ostile all’invasore e destabilizza i territori occupati a suon di deportazioni. Non è la prima volta che viene fatto: lo hanno fatto i turchi con gli armeni, i russi coi circassi, Stalin su tutti. Lo possono fare. Hanno le leggi per farlo. Le hanno approvate prima d’invadere l’Ucraina. Tra impiegare mezzo milione di uomini che non hanno, opteranno per sparpagliare militari e civili in modo che non si possano difendere, né esercitare diritti civili e politici. La guerra, spento il conflitto, potrebbe continuare per anni con queste armi. E trascinarsi per generazioni”.