Da una parte “la campagna fallimentare di Emmanuel Macron“, dall’altra le “maschere” di Marine Le Pen che le hanno permesso di costruire “una credibilità empatica”. Per Raphaël Llorca, comunicatore e ricercatore di filosofia del linguaggio all’École des Hautes Études en Sciences Sociales, il leader di En Marche “vincerà” il ballottaggio contro la leader del Rassemblement National, ma questo nonostante la lunga serie di errori che hanno contribuito a cristallizzare la sua immagine di “presidente dei ricchi” e quindi il rifiuto di una parte trasversale degli elettori. “Nei focus group che abbiamo organizzato”, spiega, “gli elettori di Mélenchon dicono che più vedono Macron e più hanno voglia di votare Le Pen. E’ un segno di debolezza enorme”. Intervistato da ilfattoquotidiano.it, l’autore di “La marque Macron” e “Les nouveaux masques de l’extrême droite” ed esperto della Fondazione Jean-Jaurès (vicina al Partito socialista), analizza le campagne elettorali e le scelte strategiche dei due candidati.

Partiamo da Macron. Com’è andata la sua campagna elettorale?
Quello che mi colpisce è che ha condotto, fin dall’inizio, una campagna totalmente fallimentare. La sua forza nel 2017 fu l’aver costruito un sistema simbolico e un insieme di proposte che corrispondevano a una analisi della società francese. Parlava di una Francia che va male perché bloccata economicamente, amministrativamente e politicamente nel conflitto tra destra e sinistra. Si è presentato come “un imprenditore politico” e come colui che voleva portare soluzioni. Si può non essere d’accordo nel merito, ma era chiaro e originale.

Cinque anni dopo cos’è cambiato?
Nel 2022 non ha fatto un’analisi altrettanto lucida. Durante il suo mandato ci sono state una crisi sociale con i gilet gialli, una pandemica e una militare. In cinque anni sono successi avvenimenti che hanno colpito le persone in profondità: in relazione agli altri, al lavoro, alla morte. Macron però, non ha rivalutato la sua posizione. E non ha dato risposte strutturali alle crisi che abbiamo attraversato.

Ci fa un esempio?
In questi mesi ho lavorato molto sull’evoluzione del rapporto delle persone con il lavoro e l’importanza che danno al tempo libero dopo il Covid. Qual è l’unica proposta che Macron ha fatto sul lavoro? Alzare l’età pensionabile a 65 anni. È totalmente fuori tema e non corrisponde all’aspirazione complessiva. Per questo dico che ha condotto una campagna all’indietro. Non ha mai trovato il ritmo giusto e anzi ha ammiccato alla Francia bloccata e alla retorica che si oppone al binarismo di destra e sinistra. Ma quella era un’analisi, fatta nel 2017, e che oggi non è più sua.

Non può più presentarsi come né di destra né di sinistra?
E’ fuori tema rivendicarsi così al termine di un quinquennio durante il quale si è largamente orientato a destra. In questo momento storico, è strano se chiede ai suoi sostenitori di non fischiare Putin durante il meeting. Così come la sera del primo turno elettorale, quando ha fatto applaudire tutti i candidati sconfitti, compreso Éric Zemmour. È sembrato molto strano.

L’errore è di strategia comunicativa?
I suoi strateghi hanno creduto che la guerra gli avrebbe fatto fare una campagna in primo piano senza sudare. Ma pensare “sono il presidente uscente e non devo fare campagna”, è assurdo. E questo ha prodotto l’avvicinarsi, incredibile, delle curve dei consensi tra Macron e Le Pen. Una crescita ridotta solo dopo che Macron ha insistito sulla demonizzazione dell’avversaria: così si è preso tutti i voti della repubblicana Pécresse e degli over 65 che hanno avuto paura.

Macron è un presidente e candidato che suscita molti odi trasversali.
Jacques Philan, il comunicatore che ha fatto vincere due volte Mitterrand negli anni ’80, diceva che le caratteristiche dell’immagine di un politico o una politica si cristallizzano molto in fretta. E lui molto velocemente ha cristallizzato quella del presidente dei ricchi, l’arrogante e disconnesso dai francesi. A torto o a ragione. Il picco di odio più grande è stato durante le proteste dei gilet gialli. Poi c’è stata una lenta decrescita del sentimento di odio durante il periodo Covid: in un clima di apatia generale, è stato visto come un protettore. Però, basta molto poco per riattivare i tratti cristallizzati. E così è successo.

Come?
Ci sono stati piccoli video registrati mentre parla con delle persone in strada, ad esempio a proposito dei no vax, in generale piccole frasi pronunciate che sono bastate per riattivare il senso di rigetto nei suoi confronti. Lo vediamo bene nei focus group, quando riuniamo le persone intorno a un tavolo sorteggiate per discutere. Ci siamo resi conto che il rifiuto di Macron è superiore di quello di Le Pen: per la candidata emergono anche caratteristiche molto addolcite, per lui no.

Gli ultimi sondaggi danno Macron in testa di 15 punti. Come può essere il favorito per la vittoria se è così detestato?
Intanto per difetto. Non ha avuto altri candidati di fronte capaci di incarnare l’alternativa, a parte Mélenchon che ha risvegliato il popolo a sinistra. Poi approfitta del “tutto tranne Le Pen”, è il suo solo motore. Quando guardiamo i sondaggi nella lunga durata, da circa tre anni ha uno zoccolo molto stabile del 25% di consensi. Che non è banale. Poi i punti che restano, li recupera soprattutto dal fronte repubblicano. È l’ultimo motore propulsivo che gli resta per vincere oggi.

È riuscito a convincere gli elettori di Mélenchon a votare per lui?
Ci ha provato. Sull’ambiente ha detto che la transizione ecologica sarà in carico al primo ministro e ci saranno due ministri dedicati. Però è solo forma. Ha cercato di mandare dei piccoli segnali: ha capito che non poteva ridipingersi presidente di sinistra in 15 giorni, non sarebbe stato percepito come sincero. Quindi ha preferito giocare fino in fondo sulla demonizzazione di Le Pen.

Oggi Marine Le Pen è una candidata che fa molta più paura a Macron rispetto al passato. Perché?
Negli ultimi anni ha fatto un’analisi clinica dei suoi tratti negativi d’immagine e ha cercato di cancellarli. Intanto ha lavorato sulla credibilità: ha scritto libretti tematici, ha organizzato una conferenza stampa sui costi del suo programma. Ha funzionato: il 51% pensa che può fare la presidente, mentre cinque anni fa era il 21%.

Ma non ha lavorato solo sulla percezione della competenza.
Poi ha cercato di correggere le caratteristiche legate all’estrema destra. Ha usato una maschera, uno strumento che al tempo stesso copre e fa vedere. E’ il mezzo dell’ostentazione e della dissimulazione. E ha elaborato tutta una serie di altre facce che non aveva mostrato prima: il lavoro, il difficile rapporto con il padre, il tradimento della nipote Marion, il suo essere una donna single che vive con la migliore amica e i gatti. Non è una maschera falsa. Ma sottolinea alcuni aspetti per dissimularne altri.

I contenuti sono cambiati?
La seconda maschera che si è costruita è stata quella legata al tema del potere d’acquisto, una vera intuizione politica. Perché è forse l’unico punto che accomuna tutti gli elettori francesi. E’ un tema che le permette di mostrarsi come la candidata vicino al popolo. Ha costruito una credibilità empatica: non è quella che sa più degli altri, ma quella che sente più degli altri. E’ una sfida allo specchio con Macron, che invece è percepito così distante. E puntando sul potere d’acquisto può cancellare tutti i temi che la demonizzano: immigrazione, velo ecc.

È bastato parlarne meno per farli sparire?
Ha anche usato una terza maschera: ha fatto una campagna di basso profilo. Abbiamo tutti concentrato gli attacchi su Éric Zemmour che era così evidentemente di estrema destra. E allora per molto tempo non si è parlato della proposta di Le Pen di inserire la “priorità nazionale” in Costituzione (ovvero il dare la precedenza ai francesi su lavoro e alloggi ndr), salvo poi scoprire, negli ultimi 15 giorni, che è incostituzionale. Lei ha fatto una campagna sul campo, lunga, fatta di piccoli meeting nelle piazze. Non ha neanche suscitato l’interesse degli analisti: sono stati pubblicati 10 libri su Zemmour, non uno su Le Pen. È una cosa mai vista.

Ma come è possibile allora che sia indietro nei sondaggi?
Per il comunicatore è un mistero. Obbliga a una grande umiltà e significa che la dinamica di comunicazione non fa tutto. Però l’errore di Macron sarebbe quello di credere che se vince è perché ha fatto una bella campagna. Tutto, dagli slogan ai messaggi, è stato fuori tema e non all’altezza. La sua strategia mediatica poi, è stata molto brutta.

Perché?
Ad esempio, ha deciso di partecipare a una trasmissione su France Culture per parlare di idee, dove si è visto il politologo e non il candidato. Certo brillante, ma non era il momento. E’ stata una scelta lunare. Come l’ultima intervista, fatta a un giornale online di musica. Quali sono i messaggi che voleva trasmettere? Vincerà, ma sarà malgrado la campagna che è stata di rifiuto di Marine Le Pen e non di adesione a un progetto. Vincerà grazie alla barricata del fronte repubblicano che probabilmente è l’ultima volta che funziona. E’ chiaro negli ultimi focus group degli elettori di Mélenchon. Dicono: più lo vediamo e più abbiamo voglia di votare Le Pen. E’ un segnale di debolezza enorme. E non è un caso che, rispetto al 2017, due milioni in meno di persone abbiano guardato il dibattito tra i due candidati.

Per Macron è peggiorato anche l’appeal tra i giovani?
Il segnale più emblematico è che gli studenti che a 20 anni si mobilitano contro Le Pen, oggi bloccano Sciences Po e la Sorbona al grido di “né Macron né Le Pen”. E’ un enorme fallimento politico per Macron. Parliamo di studenti universitari che vivono nella Capitale: Macron ha suscitato così tanto rifiuto che, anche di fronte all’estrema destra, viene respinto insieme all’avversaria. Del resto, durante la campagna, gli hanno chiesto cosa ne pensasse della eco-ansia o della decrescita e lui ha detto semplicemente che non sente quei problemi. Vuol dire non capire cosa preoccupa i giovani e infatti la sua non è stata una campagna proiettata al futuro. Mentre Mélenchon piace perché ha parlato di armonia tra gli esseri umani e l’ambiente. Dall’altra parte Le Pen ha raccolto il voto di rabbia e malcontento: lei è molto forte tra i 25 e 34enni, ovvero i giovani precari e mal remunerati. Con loro ha fatto una campagna di terapia, si è presentata come una terapeuta che affronta angosce e paure.

Però questo vantaggio Le Pen non ha saputo sfruttarlo nel faccia a faccia tv?
Rispetto al 2017 non è crollata. Macron, anche nelle inquadrature, è sembrato arrogante, sicuro di sé, riottoso. Questo è stato percepito. Lei volendo essere troppo credibile, si è annullata: avrebbe potuto puntare sul bilancio del presidente e sugli scandali, ma non l’ha fatto abbastanza. Però attenzione, tutti i media dicevano che Macron è uscito avvantaggiato, ma nelle intenzioni di voto non c’è stato alcun effetto. Sono interessanti le prime inchieste qualitative: tutti riconoscono la sua eccellenza tecnica, solo che non ne vogliono più sapere dell’atteggiamento da primo della classe.

Se questo malcontento non peserà nelle urne, lo farà sui prossimi cinque anni?
Certo. Non lo pagherà subito, ma peserà sul futuro.

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