Tra attacchi esterni e dibattito interno, la nuova generazione di dirigenti dell'Associazione dei partigiani sembra quella meno preoccupata. Ilfattoquotidiano.it ha parlato con 4 di loro, tutti intorno ai 30 anni: "Dicono che facciamo politica? Certo: essere partigiani significa prendere posizione e quella memoria va applicata per capire l'oggi, a partire dalla Costituzione". Sull'invio delle armi hanno opinioni diverse, ma su una cosa sono d'accordo: "L'Europa e l'Occidente deve tornare ai tavoli delle trattative". Il futuro? "Proporre la buona politica, tutelare minoranze, diversità e la pace. Senza timore di essere definiti putiniani"
Le divisioni interne non preoccupano le giovani leve dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia. Anzi, sono le benvenute. Comprese quelle sull’opportunità o meno di inviare armi al popolo ucraino. “Nell’Anpi c’è un’apertura al confronto che non ho trovato altrove”, spiega Niccolò Duranti, trentunenne presidente della sezione Anpi di Osimo, in Toscana. E come lui molti altri, contenti anche di poter coltivare i propri dubbi, di sapersi impegnati in una realtà che ha sempre più iscritti, ma che non cerca voti. E forse per questo, chissà, non si sottraggono alle domande sulle loro divisioni interne, come alle questioni legate al conflitto in Ucraina, e ribattono convintamente a chi accusa di ambiguità il loro pacifismo e di putinismo il presidente Gianfranco Pagliarulo. Quanto al ruolo dell’Anpi, tra accuse di timidezza o di esagerato protagonismo che tornano puntuali alla vigilia di ogni 25 aprile, la trentaduenne Nicia Pagnani, alla guida del comitato provinciale di Ancona, è netta: “Certo che facciamo politica, siamo un’associazione combattentistica, leale alla Costituzione e ai valori della Repubblica, quelli che dovrebbero scandire la nostra vita di persone e di cittadini”.
“Stiano tranquilli tutti coloro che si stanno accanendo contro l’Anpi e contro me stesso: continueremo a condannare senza se e senza ma un’invasione sanguinosa di cui Putin ha tutte le responsabilità”. Lo ha detto il presidente di Anpi dopo le accuse di ambiguità, equidistanza o peggio, di filo putinismo. Ma a pochi giorni dalla festa della Liberazione non c’è possibilità che le polemiche si plachino. E sulla contrarietà all’invio di armi ai combattenti ucraini, espressa da Pagliarulo anche a fine marzo al congresso nazionale che lo ha rieletto, arrivano i distinguo della vicepresidente, l’ex senatrice Albertina Soliani, che ha definito “inadeguate” le dichiarazioni di Pagliarulo e gli ha chiesto di “correggere la rotta”, perché “anche i partigiani hanno usato le armi”. Come negarlo, dentro un’Associazione nata per riunire chi prese parte alla guerra partigiana?
“Sono combattuto”, ammette Carlo Figliomeni. Calabrese, ventott’anni e una laurea in giurisprudenza a Bologna, dove è segretario e fondatore di una delle prime sezioni universitarie dell’Anpi: “Serviva un punto di riferimento per i fuori sede come me”. All’invio di armi era contrario: “Poi mi sono confrontato con mia nonna, figlia di partigiano e convinta che non saremmo qui, né lei, né io, se il bisnonno non avesse avuto le armi dagli americani”. E ancora: “Ho cercato su Facebook un ex compagno di liceo, ucraino. Quando ci siamo messi in contatto, mi ha colpito quanto ci tenesse a ringraziare l’Occidente per le armi fornite al suo paese”. E così oggi non si dice più contrario ad inviare armi, e si sente più vicino all’ex presidente Carlo Smuraglia, partigiano che di anni ne ha 99. E che ai distinguo dell’attuale presidenza ha opposto la richiesta di riconoscere quella ucraina come Resistenza, “che va aiutata anche con le armi”. Poi il Carlo ventottenne aggiunge: “Su molte cose non mi so dare risposta, ma mi pare che il solo invio di armi sia inutile, soprattutto se l’Occidente lascia sola l’Ucraina ai tavoli delle trattative”. In particolare si dice deluso dall’Onu, “che dovrebbe impegnarsi in tal senso e invece è inerme o addirittura lassista”. Nella sezione universitaria bolognese, aperta nel 2020 e intitolata a Sandro Pertini, quella di Carlo è però solo una posizione tra le altre. Ci tiene a dirlo: “Il pluralismo non manca, e l’Anpi è l’unica associazione in cui ho trovato questo conforto e una sincera libertà di pensiero”.
Lo ripete anche il presidente della sezione di Osimo, Niccolò Duranti: “Prima avevo la tessera di un partito, ma il confronto che ho trovato qui non c’è più nei partiti, dove i discorsi sono più da comitato elettorale. Nell’Anpi è più facile riconoscersi se si hanno certi valori, e questo molti ragazzi te lo dicono”. E sui valori, i giovani dell’Anpi ricordano che l’eredità della Resistenza non è la guerra partigiana, ma la libertà conquistata e la Costituzione antifascista che la incarna. Non a caso, il manifesto dell’Anpi per il 25 aprile di quest’anno cita la prima parte dell’articolo 11, “l’Italia ripudia la guerra”. “La Carta è la nostra linea politica e rifarsi a quei valori significa fare politica”, continua Duranti. “Sulle armi capisco benissimo l’esigenza di immedesimarsi nei resistenti ucraini, ma non riesco ad essere netto come la vicepresidente: se l’Italia invia armi in qualche modo entra nel conflitto”. E si augura una forte ripresa dei negoziati: “Mi sembra invece che vogliano sempre più convincerci che la guerra è l’unica soluzione, eppure parliamo di soggetti esterni alla Nato e mi lascia perplesso che l’Italia pensi a un atto di guerra come l’invio di armi”. Nessun dubbio, invece, sulla natura degli attacchi all’Anpi: “Passato il 25 aprile, la polemica sparirà, e forse più che l’Associazione è preso di mira lo stesso anniversario della Liberazione. Certo, che la polemica venga da un pezzo del centrosinistra è preoccupante, e mi riferisco alla stessa area che aveva appoggiato il referendum costituzionale di Renzi al quale l’Anpi si era opposta: se la sono legata al dito”.
Con 135mila iscritti, l’Associazione partigiani supera la maggior parte dei partiti. E i suoi giovani dirigenti assicurano che il trend è in continua crescita. Eppure c’è chi è convinto che “l’Anpi non ha più senso“, adesso che la maggior parte dei testimoni diretti della Resistenza è venuto a mancare. Come l’ex ministro prodiano Arturo Parisi, che equipara il pacifismo di Pagliarulo alla resa. Ma ancora una volta, ci si divide anche all’interno. “Se quella che doveva essere un’istituzione di testimonianza, di studio, di conoscenza e di approfondimento sulla Resistenza e la lotta di Liberazione – che sono la base della nostra convivenza civile e della Costituzione italiana – viene usata come una struttura quasi di partito, in cui cioè si esprimono opinioni politiche sulla situazione generale dell’Europa, del governo e degli equilibri mondiali, si esce parecchio fuori dal seminato”, ha detto a Repubblica il vignettista e vecchio iscritto all’Anpi, Sergio Staino. “Se l’Anpi si occupasse solo di memoria sarebbe un’associazione combattenti e reduci, non l’Associazione partigiani”, ribatte Duranti. Essere partigiani significa prendere posizione, e quella memoria va applicata per capire l’oggi, a partire dalla difesa della Costituzione”. “Siamo un’associazione combattentistica, capace di leggere i cambiamenti della società e della politica, dentro e fuori dall’Italia. E Anpi lo fa non cercando voti e rimanendo fedele a se stessa”, aggiunge la dirigente di Ancona, Pagnani, che sull’Ucraina si dice allineata col presidente. “E mi preoccupa invece la poca lungimiranza di chi trova normale aumentare la spesa militare quando si investe così poco nella scuola, caposaldo della costruzione della società. Questo perché non siamo ancora capaci di pensare al futuro come al tempo delle generazioni che verranno”.
E il futuro dell’Anpi? “Tutto si evolve, compreso il concetto di fascismo o accezioni come quella di neonazismo“, dice Figliomeni. “Il fascismo non è quello in camicia nera, ma oggi è dietro alle forme di odio per il diverso, alla discriminazione, al linguaggio verbale violento”, spiega Valentina Tagliabue, 25 anni e presidente della sezione di Cesano Maderno (Monza e Brianza) da quando ne aveva venti. “Chi poi non ha ancora il coraggio di dichiararsi antifascista forse è perché non lo è”, aggiunge, immaginando l’Anpi del futuro “ancora abitata dagli antifascisti“. Mentre respinge l’idea che l’Anpi sia connotata a sinistra. “Ognuno ha una propria appartenenza politica e penso che sia giusto che ognuno abbia le proprie idee, ma non siamo un partito. Il pluralismo in Anpi c’è davvero e non per questo viene meno l’obiettivo comune, l’antifascismo”. “In futuro vedo la nostra Associazione come un luogo di confronto, che non scenderà mai nell’agone, ma che promuove la buona politica“, aggiunge Duranti. E poi “tutela delle minoranze, delle diversità e sempre della pace, che va invocata senza timore di essere definiti putiniani”, rilancia Figliomeni. E se il futuro è ciò che si costruisce oggi, secondo Nicia Pagnani, rieletta nella sua sezione propio alla vigilia dell’attacco russo, “mi pare che l’Anpi vada nella direzione giusta”.