l'intervista esclusiva all'artista ucraino ospite della 59esima edizione della Biennale di Venezia. Qui ha presentato il suo lavoro “The Fountain of Exhaustion. Acqua Alta” ospitato nel Padiglione Ucraina, curato da Maria Lanko
“Fino a quando ci sarà la guerra e i criminali non saranno processati non è possibile alcun dialogo con gli artisti russi. L’unico dialogo che abbiamo avuto con la Russia negli ultimi otto anni è stato al fronte”. Pavlo Makov è un artista ucraino ospite della 59esima edizione della Biennale di Venezia. Qui ha presentato il suo lavoro “The Fountain of Exhaustion. Acqua Alta” ospitato nel Padiglione Ucraina. Un’opera arrivata in Italia dopo un lungo viaggio sotto le bombe e composta da settantotto imbuti disposti a piramide attraverso i quali l’acqua scende sempre più lentamente verso il basso. L’idea era nata nel 1995, quando la sua città, Kharkiv, rimase senz’acqua per diverse settimane. Oggi però acquista nuovi significati tra i quali “l’esaurimento dell’umanità”.
L’opera è arrivata in Laguna dopo un lungo viaggio partito da Kiev. “Quando è scoppiata la guerra ci siamo resi conto subito che doveva essere portata fuori dal Paese in fretta per poter essere salvata – racconta Maria Lanko, curatrice del Padiglione Ucraina – l’unica senza figli ero io, così ho caricato gli imbuti nel bagagliaio e mi sono messa in viaggio verso ovest”. Un viaggio tra check point dei soldati e bombardamenti durato sei giorni, fino al confine con la Polonia, per poi proseguire verso l’Austria e l’Italia. “Volevamo esserci per affermare che esistiamo – spiega Lanko – la cultura ucraina è attaccata non solo dai missili russi, ma anche dalle loro narrative. Noi non possiamo difenderci dalle bombe ma possiamo farlo sul piano culturale”. Così a Venezia l’Ucraina è stata rappresentata non solo dalla “Fontana dell’Esaurimento” ma anche nella piazza allestita nei giardini della Biennale. Qui, una pila di sacchi bianchi disposti uno sull’altro ricorda il tentativo di proteggere i principali monumenti ucraini dai bombardamenti.
“Non siamo qui solo come artisti, ma rappresentiamo il nostro Paese” rivendica Pavlo Makov, che quando è scoppiata la guerra è rimasto a Kharkiv. Non ha voluto abbandonare la sua città e per una settimana ha vissuto in un rifugio sotterraneo. “Quando sono uscito ho visto gli edifici della zona centrale devastati dai bombardamenti”, spiega. In quel momento ha deciso di lasciare il Paese insieme alla moglie a alla madre anziana: “Sono andato a prendere mia mamma a casa e i vetri erano tutti rotti a causa delle esplosioni”. Così hanno raggiunto l’Italia. Da qui Makov ha scelto di sostenere il suo Paese attraverso l’arte. “Uno degli obiettivi della Russia è di eliminare la cultura ucraina. Stiamo salvando la nostra cultura dalla distruzione totale” conclude Makov, che insieme ai curatori del Padiglione Ucraina aveva chiesto alla Biennale di non concedere alcuno spazio ai russi. E il padiglione dedicato all Russia è rimasto chiuso dopo che il curatore del Raimundas Malauskas, di origine lituana, si era dimesso insieme assieme agli altri due artisti russi Alexandra Sukhareva e Kirill Savchenkov. che avevano scritto sui social: “Non c’è posto per l’arte quando i civili muoiono sotto il fuoco dei missili”.