FATTO FOOTBALL CLUB - Nei momenti decisivi possono essere i giocatori con una caratura internazionale a trascinare la squadra sul campo, oppure un allenatore di carisma a dare forza dalla panchina. La verità è che il Napoli non aveva né gli uni, né l’altro: un gruppo di calciatori fragili, che non hanno mai vinto praticamente nulla in carriera, e un mister con la nomea di eterno secondo, hanno finito per condizionarsi a vicenda
“Uomini forti, destini forti. Uomini deboli, destini deboli”. La citazione più famosa di Luciano Spalletti non si capisce bene se si riferisca più a lui o al suo Napoli. Se sono stati i giocatori a mancare di personalità nel momento decisivo o l’allenatore a non riuscire a trasmettergliela. Probabilmente entrambe le cose. Come si dice in questi casi, chi si somiglia si piglia. I tifosi azzurri questa stagione se la ricorderanno a lungo come quella della grande occasione mancata. Molto più del famoso campionato perso da Sarri in albergo a Firenze, perché allora la squadra diede davvero tutto (gli azzurri arrivarono a quota 91 punti, quest’anno sarebbero bastati e avanzati per lo scudetto), davanti c’era una Juventus quasi imbattibile e il risultato fu pure condizionato da pesanti torti arbitrali. Stavolta no. Un campionato così livellato verso il basso non ricapiterà chissà per quanto. E il Napoli si è battuto praticamente da solo, consegnando il titolo alle rivali.
Le ultime speranze si sono spente a Empoli, dove la squadra ha dominato per ottanta minuti ed è crollata negli ultimi dieci, passando incredibilmente da 0-2 a 3-2. Non che contasse davvero, ormai era già andata (a maggior ragione alla luce dei risultati di Inter e Milan), ma la sconfitta è il simbolo dell’intera stagione del Napoli di Spalletti. Ancora una volta, la squadra si è squagliata sul più bello. Non per un problema tattico, e nemmeno tecnico, inutile puntare il dito sui cambi sbagliati, il baricentro arretrato o gli errori individuali, pure marchiani. Il problema è stato quasi tutto nella testa, ad Empoli, come negli scontri diretti contro le milanesi, o nel match casalingo con la Fiorentina. Questo è lo scudetto perso di chi non sa vincere.
Questa squadra avrebbe avuto tutto per giocarsi il campionato fino all’ultimo con Inter e Milan, a cui sul piano complessivo della rosa non ha molto da invidiare (anzi, ai rossoneri è anche superiore). Invece non ci ha mai creduto per davvero, e appena ci ha pensato per una frazione di secondo (perché ci sono stati dei momenti in cui gli azzurri sembravano davvero favoriti, dopo la vittoria all’ultimo secondo con la Lazio, oppure il successo di Bergamo) si è sciolta nelle sue paure. Torna davvero alla mente quella frase di Spalletti, che purtroppo gli si ritorce contro. Quando l’ha pronunciata anni fa, il tecnico toscano stava lottando probabilmente più contro se stesso, che con l’insopportabile ambiente romano. Dietro quel carattere forte, spigoloso, a tratti fanatico, si nasconde in realtà un allenatore bravissimo ma debole, incapace di trasmettere alle sue squadre la serenità per reggere la pressione. Il suo Napoli non ha fatto eccezione.
Lo dicevamo ad inizio stagione, questa sarebbe stata la grande sfida in azzurro di Spalletti: riscrivere due destini molto simili, quello suo e di questa piazza. Invece è finita esattamente come ci si poteva aspettare da Spalletti e dal Napoli. Nei momenti decisivi, possono essere i giocatori con una caratura internazionale a trascinare la squadra sul campo, oppure un allenatore di carisma a dare forza dalla panchina. La verità è che il Napoli non aveva né gli uni, né l’altro: un gruppo di calciatori fragili, che non hanno mai vinto praticamente nulla in carriera, e un mister con la nomea di eterno secondo, hanno finito per condizionarsi a vicenda.
Ora che il sogno è sfumato, affiora la delusione. Squadra in ritiro, ambiente in subbuglio, persino Spalletti osannato fino a poche settimane fa viene messo in discussione. Deciderà De Laurentiis, che pure dovrebbe farsi un mezzo esame di coscienza: anche lui non ha fatto nulla per cogliere un’occasione forse irripetibile (anche se probabilmente questo Napoli non avrebbe vinto nemmeno con un mercato milionario). Di sicuro è arrivato il momento di cambiare: il ciclo di Sarri è finito da anni ma l’ossatura è rimasta sostanzialmente la stessa. Servono giocatori diversi, senza il peso nel bene e nel male degli ultimi 5 anni, per costruire una nuova storia. Prima di cambiare anche l’allenatore, però, a Napoli dovranno pensarci bene: in Italia c’è poco di meglio di Spalletti, e non esiste allenatore migliore per costruire un progetto di calcio. Certo, poi vincere è un’altra cosa.