Non sempre nel mondo delle corse l’obiettivo, in ogni singolo Gran Premio, deve essere necessariamente vincere. Alcune volte è necessario e fondamentale sapersi accontentare, saper calcolare e capire cosa è più conveniente, valutando il rischio in base alle potenzialità e alle prestazioni che possono essere espresse in quel momento specifico.

Campioni del passato come Niki Lauda o Alain Prost hanno basato la loro carriera sul calcolo, sul ragionamento razionale. Non a caso il primo si guadagnò l’appellativo di “computer con l’anima” e il secondo invece quello di “Professore”. Di mondiali grazie a questa loro virtù ne hanno vinti sette in due. Tre il pilota austriaco, ben quattro il francese.

Saggezza che spesso nei piloti dei giorni d’oggi risulta mancante. Max Verstappen prima di laurearsi Campione del Mondo peccava di eccessiva irruenza – forse anche oggi ancora un poco – Charles Leclerc anche in alcune occasioni denota una fretta e un’impazienza che deve imparare ad arginare. E ad Imola proprio a quest’ultimo è mancata quella lucidità e capacità di controllo che avrebbe dovuto consigliarli di non attaccare, accontentarsi di un terzo posto che valeva “oro” in ottica campionato del mondo piloti.

L’errore è suo certamente, in pista si è girato lui, non c’è dubbio. Andrebbe però anche evidenziato che la squadra gli ha concesso di attaccare. Il cambio di gomme dalle medium alle più performanti soft è stato certamente richiesto dal pilota ma la squadra – visto che mancava la necessaria lucidità del pilota – doveva suggerirgli di mantenere la posizione e quel ritmo che gli avrebbe consentito di salire sicuramente sul podio senza problemi. Proprio Binotto aveva detto il giorno precedente in maniera saggia come fosse “più importante consolidare che rischiare”. Sacrosanto! E poi però? Si consente a Leclerc di cambiare le gomme, cambiare strategia e andare all’attacco delle due Red Bull che ad Imola sono risultate, senza dubbio, più prestazionali delle Ferrari in ogni condizione… perché?

Colpa del pilota certamente. Il muretto però ha le sue responsabilità: se no, quale sarebbe la sua funzione? In Formula 1 come in qualsiasi sport di squadra si vince e si perde insieme. Si indovina e si sbaglia la strategia insieme, troppo facile dire ha sbagliato lui. Dividersi le responsabilità aiuta a non caricare troppo sulle spalle dell’atleta una pressione eccessiva. Troppo spesso invece in Ferrari noto la tendenza di scaricare il barile: “colpa sua!”. E grazie, in pista il pilota sta da solo, ma al muretto, mi chiedo, c’è qualcuno?

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