Per nessuna delle guerre in corso nel mondo, una trentina e più di questi tempi, si ha notizia di possibili manipolazioni meteorologiche. Queste pratiche rientrerebbero tra quelle vietate dalle convenzioni internazionali, così come l’uso di armi chimiche o biologiche. Ma si mormora che, in un recente passato, il controllo meteo fu usato – o almeno si tentò di farlo – nei Balcani e nel Golfo Persico, durante l’attacco al Kuwait occupato dagli iracheni, dove le tempeste di sabbia sono un ostacolo assai fastidioso per operazioni come Desert Shield, Desert Storm e Provide Comfort (Walters et al., Gulf war weather, USAFETAC/TN Report 92/003, March 1992).
Nei climi temperati, pioggia e nebbia sono i fenomeni chiave. La pioggia, per esempio, infastidisce sia chi guarda o bombarda dall’alto dei cieli, sia le truppe che devono manovrare rapidamente a terra. Un grande stratega come l’imperatore Napoleone, capace di muovere velocemente le sue truppe come pedine sulla scacchiera, fu travolto a Waterloo dal tempo inclemente, nonostante la stagione estiva: nella notte prima della battaglia decisiva, un intenso e persistente nubifragio rese il terreno impraticabile per il fango (vedi Figura 1).
La pioggia era stata innescata dalla depressione sulle isole britanniche, che aveva aumentato la spinta del vento caldo da sud-est (vedi Figura 2).
E la notte tra il 17 e il 18 giugno fu caratterizzata da “un caldo soffocante che il vento di ponente non poteva alleviare” (de Bas, F. & de T’Serclaes de Wommersom, J., La campagne de 1815 aux Pays-Bas d’après les rapports officiels néerlandais, Brussels: Albert Dewit, 1909). L’esito funesto per le sorti del nascente impero francese fu, invero, una vera fortuna per la scienza e l’accademia, visto che a Waterloo fu sconfitta anche la dottrina autoritaria dell’imperatore in tema di ruolo dell’università.
Se piove, non solo i fanti e i cavalieri ma anche i carri armati affondano nei campi; in tal caso, i tank si devono allineare lungo la strada, formando una lunga fila che diventa un bersaglio invitante per i difensori. E, se dal cielo non si vede nulla, bisogna affidarsi completamente alla radaristica e all’automazione. Il bel tempo, al contrario, consente di manovrare rapidamente su tutto il fronte di attacco terrestre e di controllare le operazioni dal cielo senza ostacoli atmosferici.
L’arma meteorologica può essere tattica, strategica o subdola. Tatticamente, può essere usata come arma immediata, in aiuto a un assalto, in combinazione con altre armi, in battaglia per un’ampia difesa delle proprie forze e delle infrastrutture. Strategicamente può essere utilizzata per colpire la logistica dell’esercito nemico. Di nascosto, può danneggiare l’ecosistema del nemico, distruggere l’agricoltura e disabilitare le reti di comunicazione.
Durante l’ultima guerra dei Balcani, parecchie operazioni furono ostacolate dall’assetto meteo. Nel 1995, per esempio, la seconda missione CSAR (Combat Search And Rescue) fu un fallimento. Essa coinvolgeva quattro elicotteri e quattro C-130; e altri dieci velivoli fornivano protezione e supporto aereo ravvicinato. Tutti gli aerei decollarono senza problemi e raggiunsero regolarmente l’obiettivo, dove incontrarono una condizione imprevista: nebbia. La nebbia stava coprendo la valle dove si aspettavano di localizzare i membri dell’equipaggio da salvare. L’impegno di 18 velivoli era stato inutile. Sulla base di esperienze come questa, nascondendo il forte sospetto di una meteo-manina artificiale nel corso del conflitto balcanico, un maggiore dell’aviazione statunitense si abbandonava in un accorato lamento: “La scienza della modificazione del clima è progredita mentre i militari ne hanno ignorato il potenziale. È tempo che i militari ripensino alle modifiche meteorologiche benigne, ne esplorino i vantaggi in modo più approfondito e sfruttino la scienza a beneficio di tutte le parti coinvolte” (Coble, B.B., Benign Weather Modification, Air University Press, Maxwell Air Force Base, Alabama, 1997).
I sogni militareschi più belli di tutti erano strategici. Poter innescare un diluvio o una siccità per devastare l’economia sovietica alimentarono a lungo le fantasie dei generali statunitensi durante la prima guerra fredda (la seconda è appena iniziata e non sembra così fredda, a prima vista). Un attacco meteorologico prolungato potrebbe danneggiare quasi quanto un attacco nucleare totale, ma sarebbe difficile da dimostrare e facile da smentire. Secondo James Fleming, lo storico più accreditato su questo tema, il primo comandante dello Strategic Air Command degli Stati Uniti – generale George Kenney – alla fine degli anni Quaranta avrebbe dichiarato che, con la guerra meteorologica, era in gioco nientemeno che il dominio del mondo. Chissà come sta andando, ora.
Ho scritto questo quinto post sul tema della manipolazione meteorologica poiché alcuni lettori dei precedenti post mi hanno incoraggiato a condividere quanto poco so in questo campo sdrucciolevole, spesso sospeso tra la science fiction e le teorie complottistiche. Se giudicherete il tema ancora interessante – anche in vista delle iniziative più recenti, a partire dal progetto Tibet e i disperati tentativi di cloud seeding condotti tra l’autunno e l’inverno scorso in alcuni stati degli Usa – continueremo a discuterne su questo blog.