Nelle Svalbard non solo ci sono più squadre, ma si disputa anche il torneo internazionale più a nord del mondo, che vede affrontarsi i norvegesi di Longyearbyen, il centro abitato più grande dell’arcipelago, contro i russi del Barentsburg
“Gli abitanti di Longyearbyen sapevano che anche nel più piccolo villaggio delle Svalbard esiste un centro dove è concesso abbassare le difese e sentirsi sicuri. E in pieno centro, sotto le luci e separati da una tranquilla strada pedonale, c’erano l’asilo e l’ospedale. Nessuno aveva mai visto tracce di orso polare là”.
(Monica Kristensen, La Leggenda del Sesto Uomo – Iperborea)
Non esiste al mondo alcuna comunità più a nord di quella residente nell’arcipelago Spitsbergen, o Svalbard nella versione norvegese, situato a circa 1.300 chilometri di distanza dal Polo Nord. E dove c’è una comunità, c’è un pallone che rotola. Anche, e soprattutto, in luoghi dalle condizioni climatiche estreme, dove un’attività ludica e di svago rappresenta un elemento fondamentale. Nelle Svalbard non solo ci sono più squadre di calcio, ma si disputa anche il torneo internazionale più a nord del mondo, che vede affrontarsi i norvegesi dello Svalbard Turn di Longyearbyen, il centro abitato più grande dell’arcipelago, contro i russi del Barentsburg.
In Norvegia è situato il club professionistico più a nord in assoluto, il Tromsø, distante 322 chilometri da un altro club pro sopra il Circolo Polare Artico, il Bodø/Glimt, che nell’attuale stagione è stato prima croce e poi delizia della Roma in Conference League. Tromsø dista da Longyearbyen circa 916 chilometri, tanto per rendere l’idea di cosa significhi anche solo partecipare ai tornei giovanili organizzati nella Norvegia del Nord per un club come lo Svalbard Turn, appartenente a una polisportiva fondata nel 1930 dalla compagnia mineraria Store Norske Spitsbergen Kulkompani (SNSK), all’epoca di fatto la proprietaria della città di Longyearbyen, poi passata sotto il controllo dell’amministrazione statale all’inizio degli anni Novanta.
Una volta meta di minatori, balenieri e pescatori di ogni genere, oggi il quasi completo abbandono dell’attività estrattiva di carbone (l’ultima miniera attiva a Longyearbyen verrà chiusa nel settembre 2023 in quanto non rispetta gli standard norvegesi di eco-sostenibilità) ha sostituito la prima categoria con quella dei ricercatori. Per le proprie peculiarità geologiche, la meteorologia e la fauna, le Svalbard sono al centro di numerosi progetti di ricerca, tra quali uno tra i più famosi è quello denominato Arca, che ha lo scopo di preservare i semi di tutti gli esemplari di flora in un luogo protetto d catastrofi naturali o da guerre nucleari (anni fa una partita di sementi fu trasportata ad Aleppo, in Siria, per rifornire aree completamente devastate da quattro anni di guerra). Ieri come oggi, la conseguenza di queste attività è un meltin pot costituito da 52 nazionalità (questo il dato fornito dal censimento nel 2022) e favorito anche da un trattato internazionale risalente al 1920 che non prevede alcun visto né permesso per il soggiorno in loco. Un mix di nazionalità ben rispecchiato anche dalle squadre dello Svalbard Turn, dove al centro di allenamento sono presenti norvegesi, filippini, croati, ucraini, olandesi e uruguaiani.
Uno dei portieri dello Svalbard Turn proviene da Montevideo ed è tra i rari abitanti di Longyearbyen a non essere sbarcato sull’isola per motivi di lavoro, ma per affari di cuore. E’ però rimasto anche una volta chiusa la relazione con la compagna norvegese, grazie a una rete di amici che nel tempo si era costruito. Dopo aver lavorato come pulitore di barche, attualmente è impiegato come cameriere in un ristorante (a Longyearbyen è prevista l’espulsione per chiunque non possa provvedere autonomamente al proprio sostentamento) e rimane in attesa di debuttare nel derby del Polo Nord. La partita si disputa quattro volte l’anno, sempre indoor, anche se a Longyearbyen esiste anche un campo all’aperto, fatto di sabbia e ghiaia, con un terreno molto irregolare e senza reti di protezione, il che significa la possibilità di dover andare a recuperare la palla nel fiume. Come prevedibile, viene utilizzato sempre meno spesso. Gli avversari del Barentsburg provengono dall’omonima cittadina mineraria in concessione alla Russia. E’ un paese ancora pieno di richiami al passato dell’URSS, incluso un busto di Lenin di fronte a un blocco di appartamenti stile casermone sovietico, nel quale tuttora russi e ucraini convivono senza problemi di sorta. A detta di molti locali, vivere in condizioni così estreme, dove la minimizzazione del rischio è parte integrante della vita e dell’attività quotidiana di ogni abitante, genera una sorta di limbo dove tutto ciò che proviene dall’esterno viene percepito come ovattato e distante.
Il derby del Polo Nord era particolarmente sentito negli anni della Guerra Fredda, in quanto caricato di significati politici e ideologici oggi svaniti. Come rischia di estinguersi nei prossimi anni la stessa squadra del Barentsburg a causa dell’avanzare dell’età dei propri componenti. A differenza di Longyearbyen, infatti, dove il lavoratore si trasferisce con tutta la famiglia (ma non si può però nascere in loco, a causa della mancanza delle necessarie strutture ospedaliere), a Barentsburg solitamente le persone arrivano da sole, per lavorare come minatori o come guide, per poi mandare i loro guadagni ai parenti rimasti a casa. La squadra attualmente ha un’età media di 47 anni e, nonostante la presenza di alcuni elementi con un passato nelle giovanili di società professionistiche quali lo Shakhtar Donetsk e l’ormai defunto Dnipro, il gap con i rivali comincia a essere notevole. Per contro, il più grande limite dello Svalbard Turn, a detta di Vidar Arnesen, gestore della divisione calcio locale nonché ispettore capo della polizia di Longyearbyen, riguarda la mancanza di avversari contro i quali allenarsi per buona parte dell’anno. L’estrema difficoltà di effettuare trasferte in Norvegia e le infinite partite tra compagni di squadra, dove tutti conoscono tutto degli altri, tarpa le ali a qualsiasi abbozzo di talento, tanto che nessun professionista è mai emerso dall’arcipelago delle Svalbard. Il primo passo sarebbe la creazione di un campionato come in Groenlandia, disputato interamente in una sola settimana, ma il bacino da cui attingere è troppo ristretto. Rimane quindi il derby, unico nel suo genere, nonché autentico momento di aggregazione come solo il calcio, lontano tanto dai miliardi del vertice quanto dal becerume di certa periferia, sa essere.