Il processo a coloro che sono ritenuti tra gli autori di uno dei “più grandi depistaggi della storia” è, dopo oltre 70 udienze e 112 testimoni, arrivato al secondo giorno di requisitoria. “Se gli appunti sui verbali in possesso di Vincenzo Scarantino non erano tutti farina del suo sacco, ci dica Fabrizio Mattei chi altro ci ha messo mano. Sono passati 30 anni, se c’è stato dell’altro ditelo” ha detto il pm Stefano Luciani. Nel processo sono imputati tre poliziotti: Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo sono accusati del depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio, in cui morirono il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina.
Secondo l’accusa i tre ex componenti del gruppo “Falcone Borsellino” avrebbero indotto Vincenzo Scarantino a dichiarare il falso, mediante minacce, pressioni psicologiche e maltrattamenti. Come raccontato dallo stesso Scarantino ai giudici di Caltanissetta nel giugno del 2019. Il pm Stefano Luciani si è soffermato nel corso della requisitoria sugli appunti che Fabrizio Mattei avrebbe scritto di proprio pugno sui verbali in possesso di Scarantino. In un primo tempo il poliziotto, secondo la ricostruzione dell’accusa aveva detto che erano stati interamente scritti da lui per poi dire che non erano tutti suoi. L’accusa – di cui sono chiamati a rispondere davanti al Tribunale collegiale presieduto da Francesco D’Arrigo – è di calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa nostra. “Mattei – ha aggiunto il pm Luciani – non ha detto il vero quando ha tentato di disconoscere la paternità di queste scritture poste a margine. Se si arrivano a rendere dichiarazioni che vengono smentite dalla realtà dei fatti evidentemente una motivazione c’è. Non puoi rispondere in esame con un ‘non lo so’ se ti viene chiesta se è tua la paternità di quelle manoscritture. Allora Mattei non diceva il vero nel 1994 “. “Sono trascorsi trent’anni, adesso è ora di dire basta. Se c’è stato dell’altro, ditecelo. Mattei ci dicesse, una volta per tutte, chi gli ha dato questi benedetti appunti” ha proseguito. Sulla strage di via D’Amelio “i falsi collaboratori di giustizia”, come Vincenzo Scarantino, “hanno costruito un castello di menzogne“. In particolare, Luciani ha ripercorso le “due settimane che avevano preceduto l’esame dibattimentale di Scarantino al processo Borsellino uno”, “in cui Scarantino stesso è imputato”, dice. “Era il primo vaglio dibattimentale serio alla sua collaborazione”, aggiunge. E poi ha ribadito che bisogna “Maneggiare con assoluta cura le propolazioni di tutti questi soggetti che avevano falsamente collaborato con la giustizia costruendo quel castello di menzogne sono stati su questa vicenda sempre coerenti, una narrazione che ha riferito sempre gli stessi dettagli”.
Per l’accusa i fatti emersi sono chiari. Scarantino subì vessazioni preordinate e finalizzate a costruire falsi collaboratori di giustizia e una verità sulla strage che solo le rivelazioni del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza – che presto potrebbe tornare libero – riuscirono poi a smascherare. “Fu Spatuzza – dice Luciani – a raccontare una verità che da subito è apparsa dirompente. Ed era una verità che andava a sconvolgere ben due processi che si erano già celebrati per la strage di via D’Amelio, una verità che andava a mettere in discussione condanne all’ergastolo comminate sulla base di prove manipolate. Infatti era stata manipolata la collaborazione di Salvatore Candura, quella di Francesca Andriotta e infine quella di Vincenzo Scarantino”. A Scarantino, ne è certa la Procura, fu fatto recitare un copione col quale chiudere in fretta l’indagine sulla strage e assicurare colpevoli facili alla giustizia. “Più andavo avanti e più bravo diventavo”, ha ammesso il finto pentito ai pm. Una frase che la procura cita perché, per gli inquirenti, Scarantino non è una vittima. Contribuì al depistaggio, contribuì a inquinare l’inchiesta. Per quelle ricostruzioni false furono condannati da innocenti nove persone per cui solo nel 2017, con il processo di revisione, è arrivata una sentenza di assoluzione.