I reati contestati sono di omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro e cooperazione omicidio colposo. Tra i dirigenti rinviati a giudizi anche Stefan Michel Van Campe, ex gestore per ArcelorMittal Italia dello stabilimento nel 2019. La procura: "Dispositivi anti-uragano non venivano installati ed utilizzati in conformità alle istruzioni di uso"
La gru sulla quale stava lavorando finì in mare durante un tornado e lui, Cosimo Massaro, 38 anni, morì. Per l’incidente all’interno dell’area dell’ex Ilva di Taranto il giudice Rita Romano ha disposto il rinvio a giudizio di sette dirigenti e la società ArcelorMittal. In aula dovranno difendersi Stefan Michel Van Campe, ex gestore per ArcelorMittal Italia dello stabilimento nel 2019, e gli allora dirigenti Vincenzo De Gioia, Carmelo Lucca, Giuseppe Dinoi, Andrea Dinoi, Mauro Guitto e infine Teodoro Zezza, capo del turno precedente rispetto a quello durante il quale, il 10 luglio 2019, è avvenuto l’incidente mortale di Massaro.
I reati contestati sono di omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro e cooperazione omicidio colposo. Dalle attività di indagine, svolte dai tecnici dello Spesal, dalla Capitaneria di Porto e dai poliziotti della sezione di polizia giudiziaria della procura di Taranto, coordinati dai pm Raffaele Graziano e Filomena Di Tursi, è emerso che tutte le gru, con le quali vengono scaricate dalle navi le materie prime poi stoccate nel parco minerali dell’acciaieria, erano in pessime condizioni di sicurezza.
Durante il tornado del luglio 2019 ben tre gru vennero spostate dal vento. La Dm5 – sulla quale si trovava Massaro – finì in mare, la Dm6 e la Dm8 invece si accatastarono sulla prima. Il maltempo, ad avviso della procura, non fu tuttavia la causa dell’incidente mortale. I dispositivi che avrebbero dovuto resistere alle raffiche di vento – le cosiddette “tenaglie antiuragano” – ad avviso degli inquirenti “non venivano installati ed utilizzati in conformità alle istruzioni di uso”. Se quei dispositivi fossero stati installati e utilizzati nel modo corretto, insomma, ad avviso dell’accusa l’incidente si sarebbe evitato.
I vertici della società inoltre, sempre secondo la procura, consentirono “la prosecuzione delle lavorazioni in quota – si legge negli atti di inchiesta – malgrado le avverse condizioni meteo che esponevano il personale a inaccettabile rischio che non veniva minimamente valutato”. Gli operai, insomma, non avrebbero dovuto trovarsi a quell’altezza sulle gru, per giunta in uno stato di ritenuto di cattiva manutenzione, con quelle condizioni meteo. Ai vertici di ArcelorMittal viene inoltre contestata la mancata adozione di un “documento contenente la valutazione del rischio connesso ad avverse condizioni meteo” per stabilire come operare in sicurezza “in caso di pericolo ed emergenza”.
Per i pm Graziano e Di Tursi a causa della “mancata adozione” di precauzioni, della valutazione dei rischi e degli interventi di messa in sicurezza, ArcelorMittal avrebbe ottenuto un “ingiusto profitto derivante dal risparmio sui costi della sicurezza”. In un incidente simile, sulla stessa gru, nel novembre di dieci anni fa, perse la vita Francesco Zaccaria: proprio quella vicenda aveva messo in risalto le gravi lacune strutturali e di sicurezza alle quali, tuttavia, i vertici della multinazionale non avrebbero posto rimedio.