Tra due mesi sarà operativo l'interconnettore con il Tap in Grecia, da dove la Via Carpatia fino alla Lituania garantirà più sicurezza lungo le pipeline. Si apre la possibilità di una grande bretella lungo il costone balcanico per smarcarsi da Gazprom. Sia Polonia che Bulgaria importano il gas soprattutto dalla Russia ma fanno un uso molto limitato di questo combustibile fossile
La Bulgaria può contare sull’interconnettore con il gasdotto Tap in Grecia, i cui lavori termineranno entro la prossima estate; la Polonia sulle sue scorte. Così lo stop deciso da Gazprom verso i due paesi potrebbe non fare poi così tanti danni come si ipotizza in queste ore. Anche perché entrambi i paesi fanno un uso molto modesto di gas, sia per quanto riguarda il riscaldamento, sia per la generazione di elettricità. La Polonia utilizza soprattutto carbone con cui genera circa l’80% della sua produzione elettrica mentre il gas rappresenta un modesto 5%. Il riscaldamento domestico del paese è assicurato al 40% da carbone e al 20% da legna con il gas che copre una quota del 17%. Quanto alla Bulgaria il gas incide per appena il 4% tra le fonti di riscaldamento ed è quasi irrilevante per la generazione elettrica. Certamente i mercati e le imprese sono preoccupati, visti i rischi legati alla programmazione e quindi alla reazione delle borse, ma il danno potrebbe essere in una certa misura ammortizzato anche dall’azione di altri players regionali coinvolti nel dossier energetico. In sostanza si apre la possibilità di sviluppare una grande bretella alternativa lungo il costone balcanico per smarcarsi da Gazprom.
Perché Sofia – Sofia, che prima della realizzazione del gasdotto Tap acquistava dalla Russia l’88% del suo gas, entro il mese di luglio si aggancerà al gasdotto che dall’Azerbaijan porta il gas fino in Salento attraversando la Gercia. L’interconnettore greco-bulgaro si chiama Igb ed è lungo 182 km: i lavori sono iniziati nella primavera del 2019 e sarebbero dovuti terminare lo scorso dicembre, ma i ritardi della società greca Avax ne hanno prolungato il termine a luglio 2022. Sul merito dei ritardi sono anche circolate alcune voci di possibili infiltrazioni russe, legate a vecchie relazioni tra Atene e Mosca ai tempi del governo Tsipras, come rivendicato dal partito bulgaro Vazrazhdane. Ma ora la questione sembra chiusa, anche perché la Grecia con il raddoppio del deposito Gnl di Revithoussa e con la possibilità di stipare scorte nei porti settentrionali di Alexandroupolis e Kavala, si candida a recitare il ruolo di gas-hub, tanto per il Mediterraneo quanto per il versante balcanico. Un’ulteriore dimostrazione di quanto il fronte euroatlantico abbia scommesso su Atene, si ritrova nella Via Carpatia, una lunghissima bretella “Nato” che dal porto di Alexandroupolis condurrà mezzi e uomini fino in Lituania, sia per garantire la sicurezza dei confini che quella delle pipeline azere presenti a nord della Grecia.
Perché Varsavia – Varsavia, come osservato dal premier Mateusz Morawiecki, dispone di “riserve di gas e di fonti di approvvigionamento necessarie per proteggere la nostra sicurezza”, aggiungendo che gli impianti di stoccaggio sono pieni per il 76%. Il paese però resta tra i principali avversari del Cremlino, perché il primo a reagire compattamente in chiave pro-Nato e anti-invasione russa dell’Ucraina. Inoltre i polacchi non hanno dimenticato la morte del presidente Lech Kaczynski, avvenuta nell’aprile del 2010 in uno schianto aereo: ancora oggi sono in molti a parlare di attentato e non di incidente. Va citato inoltre il no polacco alla proposta del giugno 2021 di Francia e Germania di invitare il presidente russo Vladimir Putin a un vertice con i leader europei. Un rifiuto che trova le sue motivazioni non solo nei retaggi storici legati alla seconda guerra mondiale, con la contrarietà polacca all’interpretazione russa del conflitto bellico, ma nella geopolitica attuale che vede Varsavia principale soggetto Nato nell’estremo lembo europeo.
Alternative – Numeri e analisi che fanno ritenere la ritorsione russa verso Bulgargaz e Pgnig certamente grave, ma verosimilmente gestibile nel breve periodo e anche nel medio. Sul lungo periodo, invece, non va dimenticato il pur esoso progetto legato al gasdotto Eastmed, che collegherebbe Israele al Salento: già nello scorso novembre la Commissione Ue aveva deciso di inserirlo all’interno del novero di Progetti di interesse comune, visti gli estesi giacimenti mediterranei Leviathan e Zohr, mentre poco dopo gli Stati Uniti lo avevano retrocesso a progetto non più primario, preferendo aumentare l’invio di Gnl americano nel Mediterraneo. Esponenti dell’amministrazione Biden, in primis il sottosegretario Victoria Nuland, hanno detto che non c’è né tempo né denaro per sostenere la costruzione di gasdotti come EastMed: “Non abbiamo bisogno di aspettare 10 anni e spendere miliardi di dollari per queste cose. Dobbiamo spostare il gas ora. E dobbiamo usare il gas oggi come transizione verso un futuro più verde. Tra dieci anni non vogliamo un gasdotto. Tra dieci anni, vogliamo essere verdi”.