L’Agenzia nazionale Politiche attive del lavoro (Anpal) ha comunicato i dati aggiornati sui beneficiari del Reddito di cittadinanza (RdC) indirizzati ai Servizi per il lavoro al 31 dicembre 2021. L’ordine di grandezza rimane pressoché invariato, con 1.055.623 persone che percepivano il sostegno tra coloro che sono tenuti alla sottoscrizione del Patto per il lavoro, compresi i soggetti occupati al momento della rilevazione. Che sono il 20% del totale (212.221) dei beneficiari. 843mila sono invece i percettori tenuti alla stipula del Patto e non occupati al momento della rilevazione. Ed è entrando in quest’ultimo dato che si comprende meglio la natura della platea di chi fa richiesta per il RdC. La fotografia di Anpal, infatti, descrive l’Italia che vive ai margini del nostro mercato del lavoro, dove problemi come la distanza tra Nord e Sud, la bassa istruzione e il lavoro femminile sono endemici di un sistema di porte girevoli dove contratti brevi o brevissimi si alternano alla necessità di un sostegno economico.
Degli 843mila non occupati, il 45,6 percento (384.614 persone) è stato effettivamente preso in carico dai Centri per l’impiego, e dunque ha avviato “un percorso di accompagnamento al lavoro, anche solo con la sottoscrizione del Patto o impegnati in esperienze di tirocinio extracurricolare”. Più importante, solo il 30 percento (247mila) dei non occupati tenuti al Patto per il lavoro “ha un’esperienza lavorativa alle spalle in un passato più o meno recente, cioè con almeno un contratto alle dipendenze o parasubordinato nei 36 mesi precedenti la data di osservazione“, scrive Anpal nel suo comunicato. E commenta: “Si tratta di una dimensione occupazionale fragile: tra questi, infatti, i beneficiari che hanno lavorato per un periodo complessivo superiore ai 18 mesi nei tre anni considerati sono solo il 10,8%”.
In particolare, la nota di Anpal individua le criticità della platea dei beneficiari nell’inserimento nel mercato del lavoro. Mercato che agli occupati ha offerto contratti a termine nel 45,3 percento dei casi, e la metà di questi non superano i 6 mesi di durata. Inoltre, nel 94 percento dei casi “si tratta di attività professionali per cui sono richiesti livelli di competenza bassi o medio-bassi“. E se “gli stranieri e i non comunitari in particolare presentano una quota di occupati elevata (33,9%), anche in ragione di una maggior concentrazione nelle aree del Nord Italia”, emergono chiaramente altri problemi. A partire dalla “netta prevalenza di residenti nelle regioni del Mezzogiorno (circa tre su quattro beneficiari soggetti al Patto) e in particolare in Campania e Sicilia, che da sole costituiscono una quota pari a circa la metà”. E ancora: “Nelle regioni del Sud e delle Isole, il peso percentuale dei lontani dal mercato del lavoro è sempre al di sopra della media nazionale e arriva a interessare il 63% di tutti i beneficiari di RdC del Mezzogiorno”.
Per quanto riguarda il livello di istruzione, scrive Anpal, “oltre il 72,6% dei beneficiari ha conseguito al massimo un titolo dell’istruzione secondaria inferiore, mentre un quarto dei beneficiari è in possesso di titolo corrispondente al diploma di scuola secondaria superiore”. Chi è in possesso di un titolo di istruzione terziaria è solo il 2,6 percento, e le quote più ampie si registrano nelle regioni del Nord Est (5,5%) e del Centro (4,4%). Ci sono poi le differenze generazionali: “Oltre un terzo dei beneficiari soggetti al Patto per il lavoro (il 35,1%) ha meno di 30 anni (anche per le modalità con cui avviene l’indirizzamento ai servizi: tutti i giovani sono inviati ai centri per l’impiego, anche se il nucleo di appartenenza è indirizzato ai servizi sociali)”. E infine quelle di genere. Le donne sono il 56 percento dei beneficiari a livello nazionale, ma in merito alla loro distanza dal mondo del lavoro, misurata in base all’ultimo rapporto lavorativo della persona, le differenze rispetto agli uomini aumentano: “Tra le donne, la percentuale di beneficiari lontani dal mercato del lavoro sale sino all’75,8% contro il 64,3% di uomini. Una differenza di valori di oltre 10 punti percentuali che attesta processi più marcati di esclusione dal mercato sia nell’anno precedente sia nel secondo e terzo anno precedenti la data di osservazione”.