di Stefano Briganti
Tra quasi tre settimane termina il “grace period” (periodo di grazia) che la Russia ha per ripagare parte del suo debito verso gli investitori esteri. Se al termine di questo periodo si confermasse l’impossibilità già registrata il 15 aprile, la Russia andrebbe in default anche se creato artificialmente. Un default come questo è un terreno sconosciuto agli economisti e nessuno si sbilancia nel valutare gli effetti sulla economia globale prodotta dall’onda che si solleverà con il default russo. Con tutti i limiti e le approssimazioni del caso, si potrebbe tentare una ipotesi sulle reazioni di alcuni Stati di fronte alla modalità sanzionatoria attuata verso la Russia.
Si chiamano Brics, ovvero Brasile, Russia, Cina, India e Sudafrica, i paesi economicamente emergenti del XXI secolo. Nel 2021 il Pil generato dai Brics era leggermente superiore a quello degli Usa e valeva il 25% del Pil mondiale. Il conflitto russo-ucraino ha “polarizzato” il mondo attorno a due punti (passatemi la semplificazione):
1) condanna della Russia e allineamento alle iniziative “anti russe”;
2) condanna dell’invasione, non allineamento alle sanzioni ma appelli per la ricerca di una soluzione che abbassi il conflitto armato.
I paesi del Brics sono orientati sul secondo polo, chi in maniera più netta (Cina e India astenuti alla votazione Onu), chi più sfumata (Brasile e Sudafrica) ma certamente non possono non osservare con attenzione cosa sta producendo in Russia lo tsunami di sanzioni che l’ha colpita. Il congelamento di asset finanziari depositati in banche straniere, l’isolamento del sistema bancario dagli scambi internazionali (Swift), il divieto posto alle banche russe di operare sui mercati finanziari, il blocco dei principali circuiti di pagamenti con carte di credito, il congelamento di asset e proprietà private che si trovano all’estero. Sanzioni, solo per citare le più eclatanti, che sono un unicum mai realizzato prima e con tale impegno dalla parte del mondo che genera il 50% del Pil mondiale. I regimi sanzionatori Usa e Ue – nel 2005 erano 250 – sono passati a 551 nel 2021 con un numero complessivo di oltre 18.000 sanzioni, di cui il 50% comminate dagli Usa (fonte Aspi).
Tutto questo fa suonare campanelli di allarme che hanno portato i Brics ad iniziare lo studio di meccanismi di protezione dal rischio di avere la propria stabilità economica in ostaggio di qualcuno che può facilmente ucciderla se decide che sia “necessario e corretto” farlo. E’ evidente che avere grandi fondi in dollari o euro depositati all’estero oggi assume un livello di “rischio” da non sottovalutare. La Cina sta riducendo i suoi depositi esteri orientandoli verso il mercato interno in yuan. L’India, la Cina e la Russia stanno sviluppando un sistema di scambi economici che si basa sulle rispettive valute. Le banche russe stanno proponendo ai propri clienti che hanno conti denominati in dollari o euro di trasformarli in yuan a questo punto considerato meno rischioso.
Il circuito delle carte di credito Visa, Mastercard e Amex non più operante in Russia lo si sta rimpiazzando con il circuito Unionpay cinese. La Cina e la Russia hanno annunciato lo sviluppo di un sistema tipo Swift basato sul Cips cinese. Si rafforzeranno i legami tra Russia, Cina e India e si creerà un blocco Eurasia al quale sarà contrapposto un blocco Euramerica. Il livello di “autarchia economica” potrebbe certificare la fine dell’odierno modello di economia globale. I due “pesi massimi” nei blocchi, la Cina e gli Usa, lotteranno per contendersi il dominio economico mondiale, in una sorta di nuova guerra fredda dove però l’“arma economica delle sanzioni” potrebbe risultare poco efficace sul blocco Eurasia.
Così, in un cliché troppo spesso visto, potrebbero essere le armi a tornare a parlare per chi intende essere la guida di un nuovo modello. “C’è un nuovo ordine mondiale la fuori e saremo noi a guidarlo” (Varsavia, 28/3).