Il 27 aprile 2022 sarà una data da ricordare. Da oggi, grazie alla Corte Costituzionale, le madri potranno trasmettere il loro cognome ai figli e non si potrà più trasmettere loro automaticamente il cognome paterno, così sarà per i nati dentro e fuori dal matrimonio e per i figli adottivi. L’articolo 262 del codice civile va definitivamente in soffitta, dismesso come un retaggio patriarcale anacronistico che vìola la Costituzione. Ieri sera alcune donne hanno aggiunto sui loro profili social i cognomi materni e anche sulle mia pagine ho pubblicato, accanto al cognome paterno, quello di mia madre che spero di aggiungere presto anche anagraficamente a quello di mio padre. Per aggiungerlo basta fare richiesta alla Prefettura, e se decenni fa era possibile farlo solo con motivazioni dettagliate e si dovevano attendere anni, col tempo la procedura è diventata più facile. Da oggi dovrebbe (spero) essere solo una formalità.
Per secoli la madri non hanno potuto trasmettere il proprio cognome ai figli e, se li partorivano fuori dal matrimonio o senza il riconoscimento di un padre, subivano l’ostracismo e lo stigma sociale. Tempo fa, lessi la drammatica testimonianza di una donna che, negli anni ’60, ebbe un figlio non riconosciuto dal padre: “Senza riconoscimento paterno, come madre, avevo partorito il nulla“. Il patriarcato è stato un sistema di svilimento costante del materno (oltre a tutto il resto) che veniva esaltato solo come ruolo oblativo ad libitum, ma gerarchicamente sottomesso al ruolo paterno. Quanto al cognome materno, testimone della genealogia materna, era destinato all’oblio ed era un marchio di infamia. Dagli anni ’70 in poi , le lotte femministe per la conquista dei diritti delle donne, seppur tra ostacoli e battute d’arresto, hanno cambiato la società italiana. Lo stigma per figli non riconosciuti dal padre è diventato un lontano ricordo ma è rimasto in piedi, granitico, l’ultimo retaggio patriarcale: l’impossibilità per le madri di trasmettere solo il proprio cognome alla prole anche in caso di riconoscimento paterno. Espressione di un’asimmetria di potere che ha resistito pervicacemente.
Il parlamento italiano fino ad oggi ha temporeggiato: un disegno di legge per togliere di mezzo questa disparità langue da tempo in Commissione in Senato, mentre già si levano i mal di pancia nella solita destra (ma ci sono tanti patriarchi anche a sinistra). La strategia di procrastinare una legge “senza importanza” dovrebbe essere definitivamente fuori gioco. Deputati e senatori hanno a lungo giustificato il ritardo della sua approvazione con il solito benaltrismo mentre facevano di tutto per mettere all’angolo questa rivoluzione “priva di importanza”, tanto era di poco conto.
Tra i nostalgici del patriarcato che tramonta, Fabio Rampelli (FdI) – che parla di rivoluzione, ma si dice preoccupato per il caos e le ripercussioni che la trasmissione del cognome materno potrebbe avere nell’equilibrio di una coppia che potrebbe discutere in tribunale l’ordine di precedenza dei due cognomi – poi si è detto preoccupato per il possibile ingolfamento dei tribunali. Se Rampelli e i suoi colleghi temono l’accrescersi delle liti in tribunale, potrebbero votare una legge per la trasmissione del solo cognome materno. E pace sarà.
La Corte Costituzionale ha quindi abbattuto un tabù e ha dichiarato illegittimo non consentire, a genitori che sono in accordo, la trasmissione del solo cognome materno, così come non è legittimo, in assenza di accordo, permettere solo la trasmissione del cognome paterno. Si tratta di leggi che contrastano con gli articoli, 2, 3 e 117 della Costituzione perché sono “discriminatorie e lesive dell’identità del figlio”. Da oggi i nati e le nate da donna potranno assumere il cognome di entrambi i genitori, l’ordine sarà deciso in comune accordo, salvo che non si voglia trasmettere solo uno dei due cognomi. In caso di mancanza di accordo deciderà un giudice.
Una battaglia durata decenni: nel 2006 la Corte Costituzionale aveva scritto che la trasmissione del solo cognome paterno era “il retaggio di una convenzione patriarcale della famiglia e di una tramontata potestà maritale non più coerente con il valore di uguaglianza” sancito nella Costituzione, e aveva esortato il parlamento a cambiare la legge. Un invito caduto nel vuoto.
Nel 2014 la Corte Europea dei diritti umani aveva condannato l’Italia per non avere una legislazione che permettesse la trasmissione del solo cognome materno dopo il ricorso di una coppia milanese, Alessandra Susan e Luigi Fazio, a cui lo Stato italiano aveva impedito di registrare all’anagrafe la figlia nata il 26 aprile 1999, col cognome materno anziché con quello paterno. Nel 2021 la Corte Costituzionale presieduta da Giancarlo Coraggio aveva sollevato la questione esaminando il caso di una coppia di Bolzano che voleva dare al neonato, nato fuori dal matrimonio, solo il cognome materno e aveva censurato l’art 262 nella parte in cui prevedeva: “Se il riconoscimento è stato effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori il figlio assume il cognome del padre”.
Finalmente è stata detta la parola fine sulla storica e iniqua cancellazione della genealogia materna. In attesa di un passo in avanti ulteriore: si nasce da una donna, il primo cognome dovrebbe essere quello materno. Perché dovrebbe essere il primo? Lo spiega la scrittrice Lidia Ravera in questa bella riflessione: