Il lavoro non è sicuro se non è regolare. Nella Giornata Mondiale per la Salute e la Sicurezza sul lavoro è fondamentale ribadire l’urgenza di combattere il lavoro nero ma anche tutte quelle sfumature di grigio di cui la cronaca, purtroppo, ogni giorno è piena.

Costruire oggi una nuova “cultura della sicurezza e della legalità” sul lavoro significa investire sui dispositivi salva vita da una parte, ma anche sui controlli, dall’altra. Controlli che devono essere più stringenti e capillari, che devono avere il coraggio dell’intransigenza nei confronti di chi si permette di sottovalutare la sicurezza dei lavoratori.

Nel mondo gli incidenti sul lavoro e le malattie professionali provocano, in media, 6000 morti al giorno. L’ultimo report dell’Inail ci dice che le denunce di infortunio sul lavoro acquisite nel primo bimestre del 2022 sono state 121.994, +47,6% rispetto allo stesso periodo del 2021, 114 delle quali con esito mortale (+9,6%). In aumento sono anche le patologie di origine professionale denunciate, 8.080 (+3,6%).

L’aumento che emerge dal confronto di periodo tra il 2022 e il 2021 riguarda purtroppo soprattutto la componente femminile, che registra un +72,9% (da 51.550 a 89.130 denunce). Dall’inizio dell’anno sono morti 411 lavoratori, 203 di questi sui luoghi di lavoro, i rimanenti in itinere e sulle strade. Il dato più inquietante riguarda i giovani e le donne, che insieme quasi raddoppiano i casi di decesso. Per i primi si è infatti passati da 34 a 49 morti, per le seconde addirittura da 14 a 24. In generale, invece, tra gli uomini i casi di decesso sono scesi da 171 a 165.

Sempre secondo i dati Inail, per le donne è maggiore il rischio di infortuni nel tragitto casa-lavoro, perché maggiormente impegnate nella conciliazione tra vita professionale e vita privata, con inevitabili ripercussioni sulla frequenza degli spostamenti, sui tempi di recupero dalla stanchezza e, per alcune professionalità, anche a causa dello svolgimento di turni lavorativi notturni. Nel 2020 c’è stata una morte ogni cinque infortuni fra le donne e una ogni otto fra gli uomini nel percorso casa lavoro. Prima dello smartworking la quota era molto più elevata: il 50% per le donne e il 25% per gli uomini.

Ma i dati non sono solo numeri, perché dietro ci sono le persone e loro famiglie.

Come non ricordare Lorenzo Parelli che a soli 18 anni, a gennaio 2022, moriva sul lavoro nel suo ultimo giorno di stage; Luana D’Orazio, era il 3 maggio 2021 e la giovane mamma trovava la morte al telaio a cui lavorava. Ad oggi è in corso il processo ai suoi datori di lavoro che avevano manomesso l’attrezzatura. L’ultimo caso arrivato alle cronache è quello di un operaio di 51 anni morto a Roma cadendo dal secondo piano di un’impalcatura. Stava lavorando nella parte esterna di un palazzo nel quartiere di Castro Pretorio.

Tutto questo è inaccettabile.

Ecco, io credo che il lavoro debba essere quel luogo dal quale si torna sempre a casa, dev’essere un luogo di vita e di sicurezza, di diritti e di dignità. Fin quando, però, non risolveremo alla radice la questione “sfruttamento” continueremo, purtroppo, ad incappare in tragedie simili. Il problema dello sfruttamento non riguarda esclusivamente i lavoratori stranieri, ma anche migliaia di lavoratrici e lavoratori italiani, estendendosi così al di là dei tradizionali sistemi di ingaggio con caporale e attuandosi anche attraverso le agenzie interinali.

Abbiamo già una buona legge che punisce con fermezza il caporalato, quello che non abbiamo però è una legge che contrasti in modo deciso il “caporalato industriale”, e cioè quelle situazioni di sfruttamento strutturale e organizzato, a danno dei lavoratori e della collettività, che si verificano in tutti i settori produttivi e in tutte le filiere, attraverso appalti di dubbia legittimità. E la questione è la seguente: in Emilia-Romagna, la mia terra di provenienza, come nel resto del Paese molte aziende si servono di cooperative, rinunciando così ad assumere direttamente gran parte dei lavoratori. È un sistema perfettamente legale ma che comporta evidenti conseguenze negative sul piano dei diritti dei lavoratori. Questi lavoratori sono di fatto soci della cooperativa che prende l’attività in subappalto da una multinazionale.

Un sistema questo molto diffuso, soprattutto nella logistica ma anche in altri ambiti, che consente alle imprese di risparmiare sul costo del lavoro ma sulla pelle delle lavoratrici e del lavoratori. Quello che denunciano i lavoratori, e cioè stipendi ridotti per il mancato riconoscimento dei livelli contrattuali corretti; malattie non pagate, presunta evasione fiscale e contributiva visto che ogni mese ci sarebbero pagamenti “grigi” e violazione dei protocolli anti-Covid è un quadro ampiamente conosciuto da chi si occupa di lavoro. La Guardia di Finanza da anni denuncia che nel sistema degli appalti, sia pubblici che privati, si annida una imponente evasione fiscale e il settore della lavorazione e trasformazione delle carni in tutt’Italia non ne è immune. Per questo ho scritto una proposta di legge, oggi in discussione in Commissione lavoro, che mette in campo nuove regole, tese a contrastare il dumping contrattuale, cioè quel fenomeno per cui i contratti non corrispondono all’oggetto dell’appalto, generando così situazioni di squilibrio anche in termini di offerta economica e di sicurezza sul lavoro.

Si andrebbe così a colpire una percentuale rilevante di appalti presumibilmente falsi, perché non economicamente convenienti per chi li propone. Falsi perché questo genere di appalti non rispettano i principii basilari del codice civile (autonomia organizzativa e rischio d’impresa), consentono un drastico abbassamento del costo del lavoro (sotto i minimi contrattuali), e generano ingenti evasioni fiscali (soprattutto IVA, IRAP, IRPEF e contributi INPS). Una modifica normativa importante perché rafforzerebbe anche l’attività ispettiva, attraverso le diffide accertative mirate al recupero dei differenziali economici/contributivi eventualmente correlati. L’obiettivo è quello di evitare, o ridurre il più possibile, il verificarsi di situazioni di disparità di trattamento contrattuale tra lavoratori che svolgono le medesime mansioni all’interno dello stesso sito produttivo, ma dipendenti di aziende diverse. Aziende che fra di loro hanno rapporti di appalto e subappalto, non sempre genuini, spesso fonte di sfruttamento intensivo di lavoratori e di evasione o di elusione di imposte.

Nella speranza che la mia proposta di legge venga approvata entro la fine della legislatura, io credo sia importante, inoltre, rafforzare il controllo degli ispettori sui luoghi di lavoro; perché le leggi ci sono e devono essere applicate. Dare una stretta sui controlli, intensificarli, sarebbe già un primo, importante passo, perché significa verificare che il contratto corrisponda esattamente alle mansioni che il lavoratore svolge, che siano previste le ferie, la malattia, che sia rispettato il diritto ad aderire al sindacato e tutte le tutele figlie di molte battaglie sociali. Accanto al rafforzamento dell’attività ispettiva ad opera dell’Ispettorato del lavoro, ritengo sia fondamentale ripensare in sede parlamentare al sistema cooperativo, che da anni necessita di una profonda riforma. La scarsità di tutele sul piano dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici dev’essere una questione che ci toglie il sonno, perché interessa tutti e dunque dovrebbe vedere il legislatore in prima fila.

Se davvero di ripresa dobbiamo parlare, se qualcosa abbiamo imparato da questa terribile pandemia che ci ha travolto tutti ma ha colpito con maggiore durezza i più fragili, è che siamo davvero tutti sulla stessa barca, e i diritti che mancano ad una porzione di cittadini sono una ferita per tutta la collettività.

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