Mentre la guerra in Ucraina, stimolata dall’invasione russa di fine febbraio, entra nel suo terzo mese, una serie di Paesi faticano a posizionarsi in modo chiaro rispetto alla crisi in corso, a causa di una serie di conflitti d’interessi. Una situazione delicata, se si pensa che si tratta perlopiù di alleati degli Stati Uniti o di membri della Nato: Turchia, Israele, Pakistan, ma soprattutto Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita ed Egitto, hanno reagito in modo quantomeno prudente alla crisi in Ucraina e continuano a galleggiare tra propositi di mediazione – soprattutto nel caso di Israele e Turchia – e astensione sulle misure ai danni di Mosca.
L’Egitto di Abdel Fattah al-Sisi, che con Mosca condivide anzitutto il posizionamento nello scenario libico, ha finora evitato di condannare esplicitamente l’invasione dell’Ucraina. Lo scorso 7 aprile, all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, Il Cairo si è astenuto sulla risoluzione con cui Mosca è stata esclusa dal Consiglio per i diritti umani. Lo stesso hanno fatto altri 57 Paesi, tra cui la stessa Arabia Saudita e gli Emirati.
Ma se il governo egiziano si preoccupa di mantenere un profilo più discreto, l’arena politica locale si è spinta anche oltre: nei giorni scorsi il partito Nidaa Masr – che sostiene il governo con 18 seggi in Parlamento – ha chiesto all’esecutivo di “accogliere gli imprenditori russi, in modo che l’Egitto possa “trarre beneficio” dalla loro esclusione dai mercati americani ed europei. “Il governo dovrebbe comunicare con gli investitori russi e con il governo russo, fornendo loro le concessioni necessarie a investire nel nostro comparto industriale, energetico e turistico”, si legge in un comunicato diffuso qualche giorno fa dal capo del partito, Tareq Zeidan. “Non prendiamo le parti di nessuno nella crisi ucraina, siamo in piena crisi economica e la cosa più importante, oggi, è attrarre nuovi investimenti”. “Alcuni settori industriali potrebbero beneficiare di quelli russi”, ha aggiunto durante un’intervista concessa ad Al Monitor.
A Nidaa Masr si è accodata anche l’Associazione degli imprenditori egiziani che sulle colonne di Al Ahram ha invocato l’apertura di una nuova linea di interscambio con Mosca, che bypassi le sanzioni – come l’esclusione dallo Swift – e aiuti gli esportatori egiziani nel mercato russo. Altri osservatori hanno sollecitato la concessione di una zona industriale russa all’interno della zona economica del canale di Suez. Insomma, l’Egitto ha adottato un approccio esplicitamente cinico ed utilitaristico, che stride non poco con quello americano e dei Paesi al di là del mediterraneo, con i quali Il Cairo coopera in diversi settori. Gli investimenti russi in Egitto ammontavano a circa 8 miliardi di dollari nel 2020.
Più complessa è la situazione dei paesi del Golfo. Emirati Arabi Uniti ed Arabia Saudita sono tra i principali alleati americani nella regione, primi importatori delle armi statunitensi, ma anche partner russi: Abu Dhabi, in modo simile al Cairo, ha evitato condanne esplicite dei fatti in Ucraina e non ha aderito alle sanzioni, perché proprio come Il Cairo condivide con Mosca una serie di posizionamenti in Nodrafrica, Libia in particolare.
L’Arabia Saudita lo scorso anno ha invece addirittura firmato un trattato di cooperazione militare con Mosca, ma l’aspetto dirimente risiede nella loro leadership congiunta in seno all’Opec, associata ai deteriorati rapporti tra Mohammad Bin Salman e la nuova amministrazione americana. Dall’inizio del suo mandato Joe Biden non ha ancora mai incontrato l’erede al trono ed ha in parte deviato il corso stabilito da Donald Trump, riportando all’attenzione l’omicidio Khashoggi e lo scarso rispetto dei diritti umani in Arabia Saudita, oltre a sospendere l’invio di ulteriori armamenti.
Un atteggiamento che, come riporta il Wall Street Journal, ha spinto lo stesso Mbs a “minacciare un avvicinamento a Russia e Cina“. Secondo Julian Borger del Guardian, il comportamento parzialmente ostruzionistico del leader saudita rispetto alle misure anti russe, accanto a un suo recente investimento di 2 miliardi di dollari – attraverso il Saudi Public Investment Fund – nel fondo Affinity di Jared Kushner, sconta anche la speranza di veder rieletto Donald Trump alle prossime elezioni americane del 2024. Secondo l’ex ambasciatore del Regno Unito in Arabia Saudita, John Jenkins, Mbs “sta scommettendo forte sulla vittoria dei repubblicani già alle prossime elezioni di medio termine”.
Mbs ha ignorato i recenti appelli del presidente americano ad aumentare la produzione di petrolio, rispettando anzi la collusione con l’altro leader dell’Opec, cioè la Russia stessa: il costo del greggio è così rimasto al di sopra dei 100 dollari, facendo schizzare i prezzi in Occidente ma soprattutto contribuendo ad aumentare i profitti di Mosca, che ha così potuto finanziare agevolmente la guerra in Ucraina. È chiaro come la questione sia quasi personale: durante la presidenza Trump, Riyad per due volte – nel 2018 e nel 2020 – ha aderito alle richieste americane di aumento e diminuzione della produzione di greggio.
Il posizionamento dell’Egitto e dei Paesi del Golfo rispetto alla Russia è importante soprattutto per gli Stati Uniti che, a partire dagli “Accordi di Abramo”, lavorano a una nuova – ma per certi versi vecchia – architettura di sicurezza regionale, con l’obiettivo di limitare l’influenza iraniana. Tuttavia, il parziale disimpegno americano in Medioriente negli ultimi anni, speculare a un crescente coinvolgimento russo, rende l’affrancamento da Mosca tutt’altro che agevole, soprattutto per Stati che durante l’amministrazione Trump – forse la più vicina a Putin – hanno conosciuto anni di totale sintonia.