di Stefano Briganti
Lunedì si sono incontrati a Kiev il Segretario di Stato Usa, il capo del Pentagono e il Presidente ucraino assieme al suo Ministro degli esteri e al Capo del Gabinetto. All’incontro l’Ucraina ha presentato agli Usa un piano di azioni mirate al rafforzamento delle sanzioni verso la Russia, oltre ad una nuova lista di armi più potenti. Al termine dell’incontro, il Capo del Gabinetto di Zelensky ha rilasciato la seguente dichiarazione (pubblicata sul sito del governo ucraino): ”…Con questo sostegno (militare, nda) e una forte politica sanzionatoria, vinceremo sicuramente”. Sono assenti richieste di supporto agli Usa o agli alleati per una negoziazione o per un trattato di pace. Questo sta a significare che per l’Ucraina e i suoi alleati la guerra deve continuare con armi sempre più potenti e con una “forte politica sanzionatoria”. Ma quanto sono efficaci le sanzioni per risolvere un conflitto, specie per un paese come la Russia?
L’Australian Strategic Policy Institute (Aspi), utilizzando il Global Sanctions Database e analizzando tutte le sanzioni sin dagli anni ’50, ha rilevato che nella loro globalità hanno distrutto in media il 77% del commercio bilaterale tra i paesi che impongono sanzioni e quelli sanzionati. Lo studio ha anche misurato il successo delle sanzioni rispetto agli obiettivi dichiarati dal paese che le impone. Escludendo le sanzioni ancora in vigore, ha rilevato che solo il 42% delle misure sanzionatorie ha raggiunto pienamente i propri obiettivi, mentre il 16% li ha raggiunti solo in parte. Se si includono sanzioni ancora in vigore, la percentuale di successo (totale o parziale) scende a circa il 30%, se poi si riduce il periodo dal 1970, le sanzioni unilaterali statunitensi hanno raggiunto obiettivi di politica estera solo nel 13% delle volte. Dal 1950, solo il 20% delle sanzioni è volto a prevenire o porre fine alla guerra.
Questo dimostra che le sanzioni non solo sono “un’arma” molto debole nel raggiungere degli obiettivi di pace, ma lasciano una scia di devastazione economica e sociale talvolta permanente. Insomma, “Le sanzioni sono diventate un modo economico per fare politica estera, tranne per il fatto che i costi sono spesso davvero terribili”, afferma John Mueller, un politologo dell’Università di Rochester, che aggiunge: “”Non è come far saltare in aria un edificio, dove puoi contare i cadaveri, ma è molto peggio. Ad esempio, numericamente, le morti in Iraq riconducibili alle sanzioni sono peggiori di quelle di Hiroshima e Nagasaki messe insieme”.
Il 20 aprile al G20, Janet Yellen, Capo del Tesoro Usa, lancia l’allarme che la “madre di tutte le sanzioni”, un embargo totale delle fonti energetiche russe da parte della Ue (preteso da Zelensky), potrebbe far schizzare il prezzo mondiale del petrolio. Con questa “indicazione yankee” al termine dell’incontro Scholz tira il freno e afferma: “Le sanzioni sull’energia non fermerebbero la guerra e potrebbero rivelarsi un vantaggio per Mosca”.
Infatti le sanzioni si stanno dimostrando uno strumento inadeguato a fermare una guerra. Faranno del male alla Russia che dovrà “ricostruire un nuovo modello economico” ma non fermeranno la guerra. La Cina, ad esempio, a giugno rileverà lo stabilimento russo lasciato da Renault, iniziando la stagione di “shopping” in Russia. Il silenzio dei leader occidentali riguardo ad una trattativa di pace è assordante. Le affermazioni del Regno Unito hanno di fatto evocato una terza guerra mondiale sulla quale l’Occidente è diventato possibilista. Insomma è chiaro che cannoni e sanzioni non eviteranno il degenerare del conflitto.
Ormai credo rimangano pochi dubbi sui progetti degli Usa riguardo la guerra: usare l’Ucraina come un mezzo per l’abbattimento della Russia sulla pelle dell’Europa. Magari anche per un futuro “piano Marshall 2.0” per ricostruire un’Europa devastata da una terza guerra mondiale alla quale non potrà sottrarsi essendosi legata mani e piedi ai vincoli Usa-Nato.