Gli stratagemmi per violare il blocco imposto dopo l'invasione russa sono arrivati fino al Copasir cui spetterà l'indagine e la verifica. Le pene per chi viene scoperto sono alte, ma ciò non toglie che le stesse dogane confermino la difficoltà di tracciamento. E anche passando per vie più lecite, sono molti i buchi dei divieti
Triangolazioni attraverso il Kazakistan per far arrivare prodotti di lusso in Russia, nonostante le sanzioni occidentali. La voce gira da settimane negli ambienti della moda e da lì, attraverso segnalazioni anonime è arrivata fino all’attenzione del Copasir cui spetterà l’indagine e la verifica. Che la cosa avvenga lo conferma a ilfattoquotidiano.it una fonte che chiede di rimanere anonima. In sostanza, anziché spedire direttamente a un importatore di Mosca, la via per aggirare le norme approvate dall’Unione europea dopo l’invasione dell’Ucraina prevede il coinvolgimento di un soggetto con partita Iva del Paese ex sovietico che proprio con la Russia confina. Da lì la merce potrà arrivare in una boutique di Mosca o San Pietroburgo per soddisfare i desideri delle classi dirigenti e alta borghesia russe, proprio quelle che le sanzioni sul lusso vorrebbero colpire. Del resto chi oggi fa partire una spedizione per il Kazakistan non ha più incombenze del solito, oltre alla compilazione di un modulo da consegnare al trasportatore in cui in sostanza dichiara che “la merce è autorizzata per esportazione, transito e importazione in accordo con le regole Ue”, dunque non è sotto sanzioni, e che “destinazione e utilizzo finale sono in Kazakistan”.
Per Sara Armella, avvocata dello studio legale Armella&Associati e presidente della commissione dogane della Camera di commercio internazionale, “una triangolazione volta ad aggirare le sanzioni è illegale e chi vi partecipasse attivamente rischierebbe pene come la detenzione da due a sei anni o una sanzione pecuniaria da 25.000 a 250.000 euro. Oggi ci sono sistemi di tracciamento delle merci e collaborazioni fra i diversi enti doganali che, se non nell’immediato, un domani potrebbero consentire di scoprire illeciti del genere senza troppe difficoltà. Come non sarebbe difficile notare un flusso insolito di merci verso certi paesi”.
Ma al di là delle rassicurazioni di Armella, appare difficile pensare che forme di collaborazione tra enti doganali possano consentire di avere visibilità in Italia sul destino di merci arrivate in Kazakistan, un paese peraltro guidato da un governo talmente vicino allo zar Putin da aver ricevuto l’aiuto di truppe russe per sedare le rivolte di inizio anno. Una conferma in tal senso la fornisce la nostra Agenzia delle dogane, dai cui uffici fanno sapere che “è molto complesso effettuare un tracciamento completo delle merci nei vari paesi”, ovvero capire cosa effettivamente succeda loro una volta arrivate nel paese di destinazione dichiarato in Italia. Una difficoltà valida non solo per paesi come il Kazakistan, ma anche per paesi più vicini a noi. Non a caso in questi giorni è in programma a Parigi un seminario tra diverse agenzie doganali dell’Unione europea per superare alcuni problemi, come quelli relativi alla condivisione delle banche dati. Che una triangolazione, in generale, non sia un espediente troppo difficile da attuare, lo conferma a ilfattoquotidiano.it un’altra fonte che da anni lavora a stretto contatto con filiali di marchi italiani in Cina: “Ho visto spesso usare schemi di questo tipo per far arrivare merce pagando dazi inferiori a quelli dovuti per spedizioni dirette su Pechino”, dice sotto garanzia di anonimato.
Ma non ci sono solo vie da noi illegali, che laddove messe in pratica vedrebbero la complicità delle aziende italiane. Prodotti di lusso sotto sanzione potrebbero in futuro arrivare in Russia anche attraverso le “importazioni parallele” approvate di recente da Mosca per alcune tipologie di merce: importazioni senza l’autorizzazione del titolare del diritto d’autore, cioè l’azienda esportatrice. A differenza di altri settori, al momento il governo russo non ha ancora stilato alcun elenco di marchi della moda da importare con tale modalità, ma nulla toglie che ciò possa avvenire nelle prossime settimane. Una soluzione che comporterà però un rischio per Mosca, come riporta l’agenzia RIA Novosti: essere inondata di capi firmati contraffatti, provenienti da rivenditori non ufficiali su cui i le case madri non avranno alcun controllo.
Dai canali illeciti, veniamo a quelli leciti che sinora hanno consentito alle boutique a due passi dal Cremlino o sulle rive del fiume Neva di continuare a vendere abiti e accessori italiani. In gran parte dei casi si tratta di negozi in franchising riforniti delle collezioni primavera-estate 2022 prima dell’inizio della guerra, senza che il contratto consenta al marchio italiano di imporre di abbassare le saracinesche. È per esempio il caso di brand come Salvatore Ferragamo, Brunello Cucinelli, Zegna, che dopo il 24 febbraio hanno deciso senza aspettare le sanzioni lo stop alle spedizioni e la chiusura di eventuali negozi di proprietà, ma continuano ad avere insegne accese nei mall russi. Sulla vendita di prodotti di moda italiana va poi considerato un altro fattore: le sanzioni europee colpiscono il lusso, cioè prodotti dai 300 euro in su. Ma attenzione: il valore soglia non è il prezzo finale che vede il cliente russo, bensì il prezzo wholesale, all’ingrosso, che la casa madre applica all’importatore, incluso il costo di trasporto solo fino al nostro confine: considerando i margini abituali, possiamo supporre che una giacca o una borsetta fatturate da noi meno di 300 euro vengano proposte al facoltoso cliente russo anche a mille. Insomma, si può tranquillamente esportare tutto ciò che verrà messo in vetrina con prezzi che si avvicinano, o magari superano, il migliaio di euro. Tantissimi prodotti, dunque. Discorso valido ad esempio per le scarpe dei calzaturieri italiani che hanno deciso di partecipare alla fiera Obuv Mir Kozhi a Mosca: “Per noi – hanno spiegato – la Russia rappresenta il 70% del mercato e a febbraio avevamo tutto pronto per la consegna”.
@gigi_gno