Cosa avrebbe detto Pio La Torre intervenendo al 1° maggio se non lo avessero ammazzato il giorno prima? Soltanto il 4 aprile di quello stesso anno, il 1982, centomila persone avevano manifestato in Sicilia a Comiso contro l’installazione delle testate nucleari volute dagli Usa e a guidare quella manifestazione c’era lui, Pio La Torre, da poco tornato a fare il segretario regionale del Pci con il preciso intento di mettere il disarmo in cima alla sua agenda politica, insieme alla lotta alla mafia.
Quella manifestazione imponente portò a una successiva raccolta di un milione di firme a sostegno di una petizione, anch’essa promossa da La Torre, che chiedeva lo stop alla costruzione della base missilistica per favorire i negoziati di pace tra Usa e Urss e per evitare che la sicurezza della Sicilia fosse messa a repentaglio da quella scelta.
I missili furono installati e La Torre venne assassinato insieme al compagno Rosario di Salvo, ufficialmente da Cosa Nostra, che senz’altro aveva un conto aperto con il dirigente comunista. E forse il filo rosso da seguire per comprendere la profondità e l’attualità dell’impegno di Pio La Torre è proprio quello dei soldi: se c’era una cosa che La Torre proprio non poteva digerire era il profitto illecito, i soldi fatti sulla pelle della gente, sfruttandola, imbrogliandola, ricattandola.
Forse l’esser figlio di un bracciante, forse l’essere diventato segretario della Camera del Lavoro di Corleone nel 1948, raccogliendo il testimone dalle mani di Placido Rizzotto, forse aver assistito alla mattanza di militanti sindacali e politici che dal secondo dopoguerra si battevano per la riforma agraria e i diritti dei lavoratori gli avevano fatto mettere a fuoco con precisione il cuore del problema. E il cuore del problema, che si trattasse di Cosa Nostra, dei latifondisti loro mandanti o dei “signori della guerra”, era sempre e soltanto uno: il profitto illecito.
Mafiosi e agrari avevano l’obiettivo di continuare ad arricchirsi impedendo alle forze popolari di organizzarsi efficacemente. I “signori della guerra” avevano l’obiettivo di far girare i cannoni sulla testa della gente, convincendola della loro irrinunciabile funzione deterrente e quindi pacificatoria. Alimentare la necessità dei cannoni, sabotando scientemente ogni altra strada di prevenzione e di riduzione del conflitto, ha qualcosa a che fare con la tecnica estorsiva che usano i mafiosi quando prima danno fuoco alla saracinesca di un commerciante e poi vanno a proporgli la “sicurezza” dietro il versamento di un congruo contributo mensile. Ogni riferimento a fatti e persone attualmente sulla cresta dell’onda è pensato e voluto, sia chiaro!
Seguire la pista dei soldi, smascherare le mistificazioni che da sempre vengono adoperate per giustificare il profitto illecito e su tutte quella dell’ordine pubblico e della sicurezza: queste sono state le caratteristiche dell’impegno di Pio La Torre, tanto è vero che a lui si deve la proposta di legge per potenziare l’aggressione ai patrimoni accumulati dai mafiosi, attraverso quello straordinario meccanismo rappresentato dalle misure di prevenzione patrimoniali.
“Straordinario” come l’altro pezzo di quella proposta di legge, ovvero l’introduzione del reato associativo specifico per colpire l’appartenenza all’organizzazione mafiosa. Proposte dirompenti che sarebbero rimaste stra-ordinarie, cioè estranee all’ordinamento giuridico del nostro Paese, perché ritenute abnormi da benpensanti, normalizzatori, ignoranti e collusi, fino a quando pochi mesi dopo (ufficialmente) Cosa Nostra ammazzerà il prefetto di Palermo Carlo Alberto dalla Chiesa. Soltanto allora infatti benpensanti, normalizzatori, ignoranti e collusi furono superati dall’esigenza improrogabile di “dare un segnale”, esigenza alla quale, ieri come oggi, lo Stato non sa resistere. Meno male, ma quanto sangue!
Vale la pena ancora ricordare che l’altro servitore della Repubblica, altrettanto convinto che la pista dei soldi fosse quella decisiva per stanare i criminali mafiosi e i loro consorti, fosse proprio Giovanni Falcone, al quale pure era rimasto qualche dubbio sulla ragione dell’assassinio di Pio La Torre. Avrebbe voluto esplorare meglio, oltre alla pista mafiosa, la pista che portava agli interessi dei “Signori della guerra”, avrebbe voluto per questo acquisire gli atti di indagine su Gladio, ma l’allora capo della Procura di Palermo, Giammanco, glielo impedì. Si dimetterà, Giammanco, soltanto dopo la strage di Via d’Amelio e verrà sostituito da un magistrato torinese che aveva già sperimentato la pericolosità della violenza politica, Gian Carlo Caselli. Ma questa è un’altra storia… o forse no: è sempre la stessa, quella che poi arriva fino a noi.