Macchine spara fumo agli angoli della sala per fare atmosfera, una foresta di bandiere tante quante sono i delegati (ben 4.600), e un palco su sfondo blu che si estende a perdita d’occhio. Giorgia Meloni porta Fratelli d’Italia al debutto ufficiale a Milano e lo fa con la scenografia delle grandi occasioni. La sala è imponente: siamo al MiCo, nuovissimo centro congressi nel nuovissimo quartiere City Life. Il leggio è al centro: la leader arriva attraversando una passerella che taglia a metà la platea e sfoggia subito i toni solenni: “Nel bel mezzo di una tempesta vogliamo essere i primi a indicare la rotta”, dice. “Il messaggio è che ci faremo trovare pronti. Con proposte serie e con le persone giuste al posto giusto”. Meloni porta i suoi nel cuore del Nord produttivo e da lì inizia la preparazione per la corsa alle politiche del 2023. Nessuno lo nasconde, anzi i delegati lo proclamano apertamente: “Siamo pronti”. Lo dicono entrando e uscendo dalle sale per le tavole rotonde, lo ripetono scattando i selfie davanti al pannello con gli slogan. E dirlo nella Milano storicamente “casa” di Matteo Salvini, fa ancora più effetto perché con gli alleati del Carroccio hanno appena finito di litigare sulle candidature in Sicilia. L’onorevole Ignazio La Russa però se la prende: “Non mi si venga a dire che è solo casa di Salvini”, si innervosisce. Poi deve rettificare. “Però è vero che vogliamo essere più attenti al Nord”. Non vogliono che sembri una sfida, ma non fanno niente per nasconderla. “La scelta della città non è a caso”, dice Daniela Santanché dal palco. “Noi siamo il punto di riferimento della classe produttiva dell’Italia”.

L’impressione è che Fratelli d’Italia voglia fare da sola, se ne freghi di tutto il resto e abbia deciso di dettare i tempi: Meloni ha radunato i delegati per parlare di programma, va più in fretta di tutti e mostra i dirigenti su cui intende puntare. Addirittura invita Beppe Sala, sindaco di Milano, e si fregia di aprire un dialogo a prescindere dal colore politico. A fare gli onori di casa per il Carroccio c’è il presidente lombardo Attilio Fontana: “Qui abbiamo lavorato insieme”, dice. Ma per lui l’entusiasmo in platea si spegne. Le bandiere si alzano invece per Meloni: “credibilità” e “realismo” le parole chiave. Le ripete come un martello. Poi “indipendenza”, “libertà” e “crescita”. Sono le stesse che sono state stampate sui panelli giganti che campeggiano sulle porte d’ingresso. “Altro livello rispetto a Pontida”, dice un delegato ridendo sotto i baffi.

Il messaggio è chiaro: Fdi ci crede e punta alle prossime elezioni. E non può permettersi errori. Milano non è una città come un’altra per fare la convention e oggi non era un giorno qualunque: è l’anniversario della morte del militante del Fronte della Gioventù Sergio Ramelli, ucciso a Milano da militanti di estrema sinistra. Meloni ha partecipato alle commemorazioni in mattinata, ha preso le distanze dal corteo delle destra radicale della sera e ha definito il “saluto romano” antistorico. Insomma vuole essere la leader della destra “conservatrice e riformista” e da qui al voto non potrà fare scivoloni. Nella plenaria tutta rivolta al futuro, un solo spazio per il passato: il ricordo di donna Assunta Almirante, celebrata dallo storico portavoce del fondatore Msi Massimo Magliaro. Per il resto silenzio e si rispetta l’ordine di mostrarsi nuovi, inattaccabili e lontani da quelli che i delegati chiamano “i nostalgici”. Tutti i presenti lo sanno e finora c’è stata una sola eccezione: l’invito a Carlo Fidanza, l’eurodeputato indagato per finanziamento illecito dopo essere finito al centro dell’inchiesta di Fanpage sulla lobby nera a Milano. Si è autosospeso, ma domenica curerà uno dei tavoli.

Il discorso di apertura di Giorgia Meloni – “Siamo qui per rispondere all’accusa di non avere una classe dirigente adeguata”. L’obiettivo è chiaro ed è la stessa leader a proclamarlo davanti ai suoi. Per la tre giorni ha organizzato una decina di tavole rotonde: ci sono professori, esperti vicini al partito, ma non solo. Vuole che ai consensi seguano risposte strutturate e la tre giorni di Milano deve servire a quello. “Abbiamo affrontata una pandemia”, continua dal palco, “con Roberto Speranza alla Salute e ora la guerra con Luigi Di Maio agli esteri e il problema è la nostra classe dirigente? Non abbiamo problema a rispondere. Lo faremo, mostrando che i nostri uomini e le nostre donne sono persone capaci. Noi dobbiamo questa serietà all’Italia. Perché questa nazione ha pagato un prezzo all’improvvisazione”. E ancora: “L’unico antidoto all’imprevisto è la visione e la visione è una cosa che la destra italiana conosce molto bene”. Al centro del suo discorso: la patria e i patrioti, Fratelli d’Italia, che la difendono. Nel suo discorso è partita proprio dalla guerra in Ucraina: “Noi non abbiamo mai messo in discussione la collocazione”, ha detto difendendo la scelta di inviare le armi a Kiev e la scelta di non contestare la Nato. E soprattutto ha ribadito il sostegno all’aumento delle spese militari: “Perché quello che spendiamo in difesa è il prezzo della nostra libertà. Essere alleati e non sudditi ha un costo”. Perché “adesso in Ucraina si decide anche il nostro futuro”. E rivolgendosi a quelli tra i suoi che hanno sollevato dubbi, ha detto: “Non è sorprendente che chi ha conosciuto il gioco comunista, ora combatta per la libertà e per la patria?”. Messa così non può che prendere gli applausi della sala.

Poi ha affrontato la crisi sanitaria e la gestione del Covid, ribadendo la posizione Fdi: “Hanno pensato che a un virus cinese si dovesse rispondere con un modello cinese di società. Ritorno al reale significa anche che non accetteremo più provvedimenti insensati”. Meloni, nella veste ormai ufficiale di candidata premier (almeno per Fdi), ha anche difeso la veste di europeista seppur “critica”: “Noi siamo più europeisti di tanti a Bruxelles”. Ma ha anche ribadito tutte le cose che dovrebbero cambiare nell’Ue. A partire dal Pnrr che, secondo la deputata, dovrebbe essere rivisto per tutelare le “nazioni che saranno più colpite dalle sanzioni”. E senza dimenticare le politiche migratorie: “Diciamo che chi sta in Europa e non ha diritto a starci deve essere rimpatriato per fare posto a chi ha diritto a starci”. Gli altri temi chiave sono quelli noti: la difesa della famiglia (con la bandiera della legge contro l’utero in affitto); la tutela del made in Italy (ha proposto di creare un liceo dove i giovani possano occuparsi della produzione italiana); la riforma per il presidenzialismo. L’avversario, prima ancora della sinistra, è stato il Movimento 5 stelle. La standing ovation della sala è scattata quando Meloni si è scagliata contro il celebre slogan “uno vale uno”: “Una idiozia che ha consentito a gente che non valeva niente di governare”. La folla è andata in visibilio, così come quando ha condannato il reddito di cittadinanza. “Dico ai ragazzi: ‘ribellatevi’”. E poi ha battuto su “il merito”: “E’ la benzina di ogni società, mentre oggi l’ascensore sociale in Italia è rotto”. La chiusa è stata sul futuro, con tanto di frecciata agli alleati: “Non abbiamo mai creduto alla favoletta che per essere presentabili devi andare a braccetto con la sinistra”, ha detto. “Per questo continuiamo a salire” nei consensi. E per questo è iniziata la corsa. Ma Meloni sa anche che partire molto presto comporta molti rischi: “Più saliremo e più la nostra responsabilità sarà tenere i piedi ben piantati a terra. Molti credono di salire ed evaporano nel vuoto”. Ma “la nostra preparazione è stata lunga e sofferta”. E “tenderemo la mano a chi è rimasto indietro”. Tutti in piedi, applaudono la chiusa. La leader lascia la sala e per i delegati in festa è un rompete le righe. Tanto che i dieci interventi successivi vengono fatti davanti a una sala vuota.

L’assemblea programmatica – Il sottotitolo della tre giorni è che Meloni mette i suoi a studiare: la campagna elettorale sarà lunga e se Fdi vuole essere il primo partito dovrà giocarsela sui temi. Chi arriva alla sala congressi trova una mostra con le facce delle “patriote”: giornaliste, crocerossine, le donne d’Italia, le mamme di fiume. Poi c’è un pannello con uno specchio. Recita: “E se il patriota fossi tu?“. Davanti si forma la coda per i selfie, chi viene qui si sente per forza un patriota. Seguono i manifesti del pantheon con quelli che dovrebbero essere i punti di riferimento del partito (tra gli altri: Pasolini, Guareschi). I delegati passano da lì e poi entrano nelle sale dove si aprono i dibattiti. Tra i più frequentati, quello sull’Europa. Modera Vincenzo Sofo, eurodeputato arrivato da un annetto dalla Lega e già uno di quelli su cui il partito punta di più. Le domande dei delegati sono chiare: l’Ue va bene ma “servono cambi” e “riflessioni”. Sofo concludendo i lavori: “La missione che ci dobbiamo dare è innanzitutto valoriale e identitaria“. Il come è presto da dire, ma l’ex eurodeputata Elisabetta Gardini dice che “con Giorgia ai tavoli di Bruxelles sarà un’altra cosa”. Sofo, a ilfatto.it, la spiega così: “Fdi vuole fare un salto di qualità, creare un campo largo per opporsi ai progressisti”.

A proposito di valori cari a Fratelli d’Italia, nella sala a fianco si parla di famiglia: ci sono il senatore Lucio Malan, il vicepresidente dei Pro Vita Jacopo Coghe ed Eugenia Roccella. L’allarme è collettivo: “La famiglia è sotto attacco perché è basata sull’amore, nessuno può tassarla o guadagnarci”, dice Coghe mentre chiede norme per “tutelare il diritto di priorità per i genitori di educazione dei figli” contro la presunta “ideologia gender”. Roccella chiede “un pensionamento anticipato per le madri”, mentre Malan ringrazia perché “tutti insieme abbiamo fermato il ddl Zan”. Poi si chiede l’applauso per l’assessore del Piemonte Maurizio Marrone, seduto tra il pubblico: ha stanziato 400mila euro per le associazioni Pro Vita. “Un modello”, dice la platea.

La sala più grande di tutte è quella dove si discute di “ambiente e futuro”. Ci sono due parlamentari (Berlato e Nastri), ma parlano soprattutto esperti. Alla fine del dibattito si alza una delle delegate più giovani e fa la domanda centrale: “Quali risposte in termini di energia date alle generazioni come la mia?”. Le risponde Fabrizio Martinelli, chimico: “Di sicuro non togliendo la cannuccia di plastica. Il futuro è l’energia nucleare”, applauso. Quindi se la prende con “le teorie gretiniane”, facendo il verso a Greta Thunberg: “Inutile fare la manifestazioni a Roma e poi alla fine è un cimitero di cannucce di carta. La plastica durante il Covid ha dimostrato che è il materiale migliore ed è perfettamente riciclabile”. Tutti d’accordo. E il docente dell’università Marconi di Roma Gian Piero Jaime chiude: “Ora ci sono tante opportunità e bisogna affrontarle senza no ideologici. Vedo tanti giovani pronti”. I lavori si chiudono giusto in tempo per andare a sentire Meloni davanti alla plenaria. Si riprende sabato: stessi temi, nuovi interlocutori. Non sono tutti diretta espressione di Fdi, ma molti sono attesi: ad esempio il professore Luca Ricolfi, gli imprenditori Matteo Zoppas e Stefano Donnarumma, l’ex ministro Giulio Tremonti. L’ultimo tocco è l’organizzazione pratica: nelle mani dei 500 delegati di Gioventù Nazionale. “Siamo la giovanile di partito più forte ora in Italia”, dice il presidente Fabio Roscani. “Abbiamo 10mila tesserati, raddoppiati solo nel 2021. I giovani vogliono Fdi perché qui si parla di merito”.

Meloni ha voluto una scuola di formazione, ma soprattutto una vetrina. Per far vedere, prima di tutto agli alleati, che Fratelli d’Italia non starà in un angolo. Non si accontenterà di fare il “paracarro”, per dirla con le parole di Santanché. Sempre sperando che la classe dirigente, quella che c’è già e quella che si sta preparando, “resti con i piedi per terra”.

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