Il decreto sulle armi (con l’elenco secretato) da inviare all’Ucraina viola la Costituzione o pone l’Italia nella lista dei paesi – come Usa e Gran Bretagna – che si sono esposti al rischio di essere considerati cobelligeranti nella guerra tra Ucraina e Russia scatenata dall’invasione di Mosca? Dopo la decisione del Parlamento tedesco di inviare armi pesanti a Kiev, a dispetto di quelle che era apparsa la linea del cancelliere Olaf Scholz, abbiamo chiesto a due costituzionalisti una riflessione sul concetto di ripudio alla guerra recitato nell’articolo 11 della Legge fondamentale dello Stato. La premessa per entrambi è che la Federazione russa ha aggredito un paese sovrano compiendo una gravissima violazione del diritto internazionale. (Leggi l’intervista a Roberta Calvano)

Per Claudio De Fiores, ordinario di Diritto costituzionale presso l’Università della Campania “Luigi Vanvitelli”, “non era mai accaduto che un governo decidesse di rifornire di armi un Paese in guerra. Su questo il presidente del Consiglio Mario Draghi aveva ragione, nella sua informativa alle Camere, si tratta di una decisione senza precedenti nella storia repubblicana. Non era mai avvenuto per la semplice ragione che non poteva avvenire. A impedirlo erano non solo i principi costituzionali della Repubblica, ma anche le sue leggi. Per conseguire questo esito è stato necessario, non a caso, procedere in via d’urgenza e derogare le leggi vigenti che disciplinavano questa materia”. Per il professore quindi ci troviamo di fronte a una situazione che mette in discussione “l’impianto pacifista della Costituzione”. Quelle che daremo all’Ucraina sono armi che secondo il sottosegretario alla Difesa Giorgio Mulè, erano a magazzino che sono state già autorizzate dal Parlamento. “Il Parlamento – e su questo il sottosegretario ha ragione – ha già autorizzato con una risoluzione l’invio delle armi fino al 31 dicembre. Una sorta di delega in bianco conferita dalle Camere all’esecutivo. Non conosciamo il tipo di armi inviate, la loro natura e neppure le modalità seguite per la loro fornitura. È stata data una copertura eccessiva e il parlamento non ha esercitato adeguatamente la funzione di controllo che gli spetta.

Secondo il giurista di fatto “l’Italia è intervenuta in un teatro di guerra e lo ha fatto attraverso l’invio delle armi considerato dal diritto internazionale un atto militare ostile. La stessa Corte Internazionale di Giustizia (nella sentenza Nicaragua del 1986) ha dichiarato la fornitura di armi illegittima proprio perché, diversamente dall’invio di altri mezzi o di denaro, è una delle forme attraverso le quali viene esercitato l’uso della forza. D’altra parte la dottrina internazionalistica non ammette la belligeranza benevola. Alcuni giuristi americani utilizzano, in questo caso, l’espressione dragging into the war. Si tratta di un complesso di procedure, controverso nelle sue manifestazioni, ma tuttavia indicativo della volontà di uno Stato di misurarsi con la guerra e non invece di ripudiarla come ci chiede la Costituzione.

E rispetto alla condotta di Stati Uniti e Gran Bretagna, sono quindi da considerare già in guerra contro la Russia? “Guardi io ribalterei i termini. E la questione che mi porrei è se le potenze occidentali stanno oggi operando per la pace. Ne ho forti dubbi. Le sembrano dichiarazioni di pace quelle del viceministro della Difesa, James Heappey, che considera legittimo colpire obiettivi in territorio russo o quelle di Biden che preconizza la fornitura perpetua di armi fino alla resa della Russia. Si tratta di dichiarazioni che come l’invio delle armi non risolvono il conflitto, ma lo alimentano. La nostra bussola è la Costituzione. E la Costituzione ci dice che l’Italia deve ripudiare la guerra e che nel farlo deve contestualmente adoperarsi attivamente per la pace. E questo significa che davanti a una crisi bellica, sul piano internazionale, l’Italia deve tenere fede all’imperativo etico e giuridico del ripudio della guerra, sancito nella propria Costituzione tra i principi supremi. E allo stesso tempo ritagliarsi un ruolo da protagonista nell’azione diplomatica, attivando politiche pacifiste, favorendo, sul piano internazionale, i processi di distensione. Ma a parte le prese di posizione della Santa Sede, non mi pare che oggi nessun governo si stia spendendo attivamente per la pace. Nessuna azione diplomatica degna di questo nome è stata avanzata in Italia o in Europa”. Un’idea potrebbe essere una nuova “conferenza di Helsinki” (sulla sicurezza e la cooperazione in Europa realizzata nel 1973, ndr) avanzata in Italia da costituzionalisti e da alcuni centri di ricerca, come il Centro riforma dello Stato. Proposta nei giorni successivi fatta propria anche dal Presidente della Repubblica. “Ma anche le parole del presidente della Repubblica rischiano di cadere nel vuoto. Bisogna evitare che ciò accada”

L’Ucraina è stata aggredita e ha chiesto aiuto alla comunità internazionale. Per questo alcuni paesi chiamati in causa stanno aiutando. “È evidente che siamo di fronte a una guerra di aggressione. La Federazione russa ha commesso una gravissima violazione del diritto internazionale invadendo uno Stato sovrano. Non si tratta di certo di un’operazione militare speciale come sostenuto da Putin. I contorsionismi lemmatici non servono a nascondere la crudeltà della guerra. Ma anche su questo l’Occidente ha qualcosa da rimproverarsi. Che le guerre si fanno, ma non si dice lo abbiamo appreso in Serbia, in Afghanistan, in Iraq, in Libia.

De Fiores prosegue: “Il diritto costituzionale e internazionale riconoscono il diritto alla legittima difesa, ma non il diritto di ogni singolo Stato a intervenire urbi et orbi per dirimere con le armi un conflitto. Questa soluzione sarebbe praticabile, in base alle norme vigenti, solo laddove espressamente prevista dal diritto convenzionale, in casi di extrema ratio, da valutarsi nell’ambito di un rapporto di mutua assistenza tra paesi alleati (è il caso della Nato) o sotto la vigilanza dell’Onu (come previsto dall’art. 51 dello Statuto). Ma l’Ucraina non è un partner della Nato e il Consiglio di Sicurezza Onu è bloccato dal potere di veto della Russia. È indubbio che ci troviamo di fronte a un atto di aggressione. Esistono strumenti che possono essere attivati? La risposta è sì. Ma questi strumenti sono quelli del diritto. Kelsen, in pieno conflitto mondiale, ci ha indicato una via di uscita: la pace attraverso il diritto. Noi oggi stiamo precipitando in una guerra dalle conseguenze imprevedibili perché riteniamo che del diritto possiamo anche fare a meno. Ma fuori del diritto ci sono solo i rapporti di forza, le spirali della guerra, il rischio nucleare.

Un bluff quello della soluzione nucleare agitata da Putin? “Consiglierei vivamente i nostri paesi di non inasprire ulteriormente le tensioni internazionali. Anche la Cina ha ricominciato, in questi giorni, a muoversi accusando la Nato di destabilizzare il mondo. Io vorrei evitare di costringere la Russia a scoprire le carte per dimostrare che si trattava di un azzardo. Non rischierei sulla pelle del mondo. Apriamo, invece, quanto prima un canale diplomatico. L’unico modo per vincere questa partita è vincere la pace

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