di Monica Valendino
Se non fosse una situazione drammatica farebbe sorridere il fatto che si continui a dipingere la guerra in Ucraina come un conflitto tra democrazie e autocrazie, tra bene e male, tra un aggressore e un aggredito. Una semplificazione che non mette in luce tutte le sfumature che si intravedono in quella che, comunque la sia veda, è una terza guerra mondiale. La soluzione bellica non ha di certo come obiettivo difendere una democrazia contro un esercito che desidera liberare i connazionali oppressi. Una favola questa, spacciata da entrambe le parti mentre la realtà è che tutti usano l’Ucraina per un fine preciso: il controllo di una regione determinate come il Donbass per le sue risorse di nichel, manganese, cobalto e soprattutto per i metalli preziosi (europio, ittrio, erbio, litio) senza i quali non si producono gli strumenti tecnologici di cui il mondo è sempre più affamato. La Crimea e la costa sul Mar Nero poi sono lo sbocco economico e strategico-militare che determinerà anche il controllo sul Mediterraneo.
Ma questa guerra sta anche cambiando le regole d’ingaggio che dal 1945 in poi hanno governato il mondo, regole che si fondavano sul principio di deterrenza: possedere armi di distruzione di massa è stato visto come motivo per non attaccarsi reciprocamente. Oggi che il conflitto è di fatto tra Nato e Russia il finale prima di una trattativa per spartirsi il mondo potrebbe essere l’utilizzo di un’arma tattica nucleare. In una fase di stallo nelle trattative, di impossibilità a dialogare e a capire le rispettive posizioni, con Mosca che non può permettersi un conflitto lungo per i costi economici che comporterebbe, è sempre più probabile che decida di impiegare un ordigno a bassa potenzialità in un contesto poco popolato (un paio di chilometri di raggio) che sdoganerebbe per sempre l’utilizzo del nucleare in guerra: del resto perché avere le armi se non si possono usare, direbbe il Dottor Stranamore?
A quel punto la risposta Nato non potrebbe di certo essere da spettatrice e, non potendo colpire la Russia direttamente provocando una ritorsione massiccia (e quindi economicamente improponibile), potrebbe usare una stessa arma nei territori contesi. A quel punto sì che ci sarebbe una tregua e una spartizione del mondo fondato sui nuovi criteri nati negli ultimi vent’anni e di nuovo diviso in blocchi, questa volta tutti sullo stesso piano economico e militare: Russia, Cina, India e l’Asia minore da una parte, Oceania, Europa e America dall’altra con Africa e Sudamerica destinate come sempre a subire l’imperialismo altrui, di qualunque colore esso sia. Sicurezza, salute e istruzione diverrebbero quindi le parole chiave per giustificare ancora più spese per armi e intelligence (Big Army), dopo che Big Farma e Big Tech si sono già arricchite a dismisura e continueranno a farlo.
Si dice che chi controlla l’informazione controlla il mondo e oggi questo è sotto gli occhi di tutti, con l’istruzione che diventa sempre più nozionismo e riservata alle classi più agiate. Così come la salute che sta andando verso una privatizzazione quasi “necessaria” dopo la pandemia e i costi sociali che ha mostrato. Il tutto con un controllo sui cittadini sempre più intenso in nome della sicurezza con i nuovi strumenti già testati in tal senso.
E’ questo che ci aspetta nel dopoguerra con il nuovo mondo, o il nuovo ordine mondiale come qualcuno lo chiama, che da qualunque parte lo guarderemo sarà pressoché uguale: altro che democrazie contro autocrazie! Qui si sta giocando una partita tra oligarchie: non i ricchi russi, ma piuttosto il potere concentrato nelle mani di pochi in qualunque parte del pianeta. Un potere che usa le persone per i suoi fini che non sono quindi la difesa di un popolo rispetto a un mostro brutto e cattivo, ma molto altro. Piuttosto la domanda che dovremmo porci è: siamo certi che vogliamo andare verso questo futuro prossimo dispotico? E’ questo che vogliamo davvero per noi e per le generazioni future?