Lo afferma l’improbabile articolo 1 della Costituzione della Repubblica italiana: una Repubblica democratica fondata sul lavoro e dove la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. Il primo maggio, fossero davvero così le cose, dovrebbe coincidere con la festa della Repubblica. Basare l’identità di una Repubblica sul lavoro è stata un’intuizione troppo sovversiva per essere presa sul serio. Il lavoro come fattore costitutivo della realtà pubblica, e cioè dello stato, indica un orientamento, un cammino, una scelta e un impegno. Il primo maggio, che cade quest’anno di domenica, è una fragile festa che rivela come non mai la profezia disattesa di un articolo di legge assai scomodo.
A Niamey, a causa della concomitanza con la conclusione del mese santo del Ramadan, sono state sospese le manifestazioni del primo maggio. Come segno di lutto per gli uccisi dal terrorismo prima, a causa delle misure legate alla pandemia dopo e stavolta per motivi religiosi, questa data scompare dal calendario sociale del Paese. Eppure la fraternità, il lavoro e il progresso sono il blasone della Repubblica del Niger. Anche in questo caso il lavoro è posto come ponte, legame o condizione tra la fraternità e il progresso. Senza il lavoro non sarà possibile la pratica della fraternità e del progresso sociale chiamato giustizia. Non c’è lavoro senza lavoratori, ma ci sono cittadini senza lavoro ed è così che si mutila una Costituzione.
Buona parte dei lavoratori della nostra Repubblica sono contadini o allevatori di bestiame da transumanza attraverso il Sahel. Ci sono poi gli “amministrativi” che sono considerati i privilegiati nei ministeri e i servizi dello Stato, educazione, sanità e forze armate. Seguono coloro che lavorano nelle imprese multinazionali di estrazione dell’uranio, del carbone e del petrolio. Arrivano poi gli operai e gli impiegati delle non numerose aziende del posto, di trasformazione e dei beni di prima necessità. Una menzione speciale va fatta per i fortunati che hanno trovato lavoro nelle Ong umanitarie che si moltiplicano in modo esponenziale. Dalle internazionali alle locali c’è posto per tanti. Le carestie, gli sfollati e i migranti danno lavoro a molti!
C’è poi il settore informale, quello che più conta e annovera un gran numero di lavoratori e lavoratrici. I ristoranti occasionali, le “boutiques” che nascono e scompaiono a seconda delle stagioni e dell’umore degli amministratori comunali. Ci sono i venditori ambulanti di ogni possibile mercanzia, dalla sabbia alle scarpe, passando dai barbieri e dai sarti che vanno in giro in cerca di clienti. Da non dimenticare i cercatori d’oro che, a migliaia, scavano rischiose gallerie e usano di nascosto la dinamite per qualche pepita in più. Si trovano i contrabbandieri di droga, armi, persone e politica. Un certo numero vive della guerriglia che si confonde con una ideologia religiosa che confina col banditismo e si perpetua con la complicità del potere.
Una Repubblica fondata sul lavoro e l’altra che porta come divisa la fraternità, il progresso e il lavoro che rende fattibile i due che lo precedono. Una Repubblica che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione di conflitti epperò partecipa a tutte le guerre possibili. L’altra che ne paga le conseguenze con migliaia di sfollati, centinaia di morti e intere regioni abbandonate dai contadini e allevatori residenti. Una Repubblica fondata sul lavoro tradito e l’altra che aggiorna le manifestazioni del primo maggio. Sabbie di tutto il mondo, unitevi, perché la costruzione della fraternità e del progresso sociale sono l’unico lavoro da festeggiare per cambiarlo.