Il presidente della Repubblica non potrà ricandidarsi ed i filippini dovranno scegliere il suo successore da una rosa in cui spiccano i nomi di quattro favoriti: ecco i profili. E sullo sfondo resta la politica estera tra le sirene della Cina e le élite locali che non solo favoriscono robuste relazioni con gli Stati Uniti ma sono anche molto scettiche nei confronti delle intenzioni di Pechino
Le Filippine si preparano alle elezioni generali, previste per lunedì 9 maggio, in un clima di attesa per gli sviluppi politici che scaturiranno dalle urne. La nazione asiatica, colonizzata dagli Stati Uniti per decenni ed indipendente dal 1946, è una repubblica presidenziale su modello americano, dove il capo di Stato è posto al vertice dell’esecutivo. Il presidente della Repubblica può essere eletto per un unico mandato di sei anni e non può ricandidarsi. Il vice-presidente, a differenza di quanto accade negli Usa, viene eletto separatamente e può anche essere membro di un partito politico di opposizione. Il capo di Stato uscente Rodrigo Duterte, figura politica controversa ed accusato di abusi dei diritti umani, non potrà ricandidarsi ed i filippini dovranno scegliere il suo successore da una rosa in cui spiccano i nomi di quattro favoriti.
In testa alle preferenze, secondo un sondaggio realizzato da Pulse Asia Research, c’è Ferdinand Marcos Jr, accreditato del 56 per cento delle intenzioni di voto. Marcos, già membro del Congresso, può contare su una presenza radicata sui social media (ha quasi 6 milioni di follower su Facebook) e sulla “notorietà” derivante dall’essere il figlio del dittatore Ferdinando Marcos, al potere dal 1973 al 1986. Al secondo posto c’è la vice presidente Leni Robredo, con il 24 per cento delle preferenze seguita dal sindaco di Manila Isco Moreno (8 per cento) e dall’ex boxeur professionista Manny Pacquiao (8 per cento).
Leni Robredo, entrata in politica nel 2012 in seguito alla morte del marito in un incidente aereo, è diventata vice presidente nel 2016 dopo aver sconfitto Marcos Jr e può contare sul supporto di due milioni di volontari che, sia ricorrendo al porta a porta che andando nei mercati, stanno sostenendo le sue posizioni. Robredo sta mettendo in guardia gli elettori in merito ad un possibile ritorno dell’era Marcos e la sua ascesa politica ricorda quella di Corazon Aquino, che guidò la rivolta contro Marcos dopo che i sicari dell’esercito le uccisero il marito all’aeroporto di Manila nel 1983. Il suo programma mira alla formazione di un esecutivo onesto ed efficiente in grado di realizzare uno sviluppo economico inclusivo, di porre fine alla discriminazione sul lavoro, di garantire un accesso a Internet gratuito ed universale e di attrarre gli investimenti lottando contro la corruzione.
Ferdinand Marcos Jr. è stato accusato di aver provato a riscrivere la storia politica del suo Paese dopo aver definito, come riportato dal The Guardian, il padre come “un genio politico” e di aver coordinato una serie di azioni volte a diffondere la disinformazione online e ad attaccare i suoi sfidanti. Marcos Jr. ha negato o sminuito le accuse rivolte al governo del padre ma i dati diffusi a questo proposito da Amnesty Inernational parlano chiaro. Sotto la legge marziale, imposta da Marcos nel 1972, sono state uccise almeno 3.240 persone mentre 34mila sono state torturate ed altre 70mila sono state imprigionate ingiustamente. In molti temono che, qualora Marcos diventi presidente, ci siano poche speranze di ottenere giustizia nonostante l’esistenza di una legge che preveda l’elargizione di risarcimenti alle vittime della legge marziale. Il sistema politico filippino è dominato da una serie di famiglie potenti e talmente influenti da aver rimpiazzato i partiti come perni del sistema politico. I politici cambiano così spesso partito da averli resi superflui e gli elettori si sono adeguati affidandosi alle famiglie piuttosto che alle strutture organizzate.
Le Filippine sono, secondo l’ong Freedom House, una nazione parzialmente libera dove il principio di legalità e l’applicazione della giustizia sono casuali e favoriscono le élite politiche ed economiche. I politici dell’opposizione sono stati arrestati, in diverse occasioni, dopo la formulazione di accuse politicamente motivate mentre un’atmosfera di violenza ed il mancato accesso alle risorse dello Stato gli hanno impedito di operare con efficienza. Le Filippine sono uno dei luoghi più pericolosi al mondo per i giornalisti e la retorica ostile del presidente nei loro confronti ha esacerbato la situazione. Le cose non vanno meglio ai difensori dei diritti umani dato che ben 134 sono stati uccisi durante l’amministrazione Duterte.
La figlia di Duterte si è schierata con Ferdinand Marcos Jr e mira a diventarne la vice mentre il padre punta alla carica di senatore cercando di non disperdere la propria eredità politica. Duterte ha perseguito una politica estera indipendente ed ambivalente che lo ha portato a scontrarsi con gli Stati Uniti. Il capo di Stato ha minacciato di abrogare un importante trattato militare con Washington (salvo poi ripensarci), ha insultato l’ex presidente Barack Obama ed ha sviluppato relazioni più strette con la Cina. Pechino ha investito 14 miliardi di dollari nell’economia filippina nell’ambito, come ricordato dal Lowy Institute, del programma “Build, Build, Build”.
Pechino, accusata di aver cercato di influenzare le imminenti elezioni, ha fornito alla Filippine i vaccini contro il Covid-19 ed è diventata il partner economico più importante di questa nazione. Ferdinand Marcos Jr., noto per le posizioni quiescenti espresse nei confronti della Cina, ha recentemente cambiato registro adottando un punto di vista più aggressivo, ponendosi in antitesi rispetto a Rodrigo Duterte. L’ex senatore ha promesso, durante un dibattito focalizzato sulla politica estera, di inviare le navi da guerra per “difendere” i pescatori e la sovranità filippina nel Mar Cinese Meridionale. “L’imposizione di una presenza militare nell’area – ha affermato Marcos, come riportato da The Diplomat – è cruciale per mostrare alla Cina che stiamo difendendo quelle che consideriamo le nostre acque territoriali”. Anche la maggior parte degli altri candidati ha espresso posizioni dure contro la Cina allineandosi all’establishment e alle élite locali che favoriscono robuste relazioni con gli Stati Uniti e sono molto scettiche nei confronti delle intenzioni di Pechino.