“Vi confermo che tutti gli Stati membri hanno detto che si devono mettere in opera le sanzioni e rispettare i contratti, che sono in euro“. Così la ministra francese per la transizione ecologica Barbara Pompili, nella conferenza stampa dopo il Consiglio straordinario dei ministri dell’Energia convocato dopo lo stop deciso da Mosca per le forniture a Polonia e Bulgaria. “I miei servizi insieme al servizio giuridico della Commissione e del Consiglio, prepareranno delle linee guida più dettagliate su cosa le imprese possono e non possono fare nel contesto del quadro” ha detto la commissaria Ue per l’Energia Kadri Simson. In effetti la situazione rimane poco chiara e nel vertice odierno non sono mancate contrapposizioni. L’Ungheria ha minacciato di porre il suo veto su disposizioni tese a limitare l’import di beni energetici dalla Russia. La richiesta di Mosca è quella di pagare il gas depositando euro o dollari su un conto aperto presso Gazprombank, al momento non sottoposta a sanzioni, che procede poi alla conversione in rubli. Tecnicamente le compagnie europei non verserebbero quindi rubli, anzi Mosca vuole utilizzare questo sistema per portarsi in casa valuta pregiata senza che finisca su conti che possono essere bloccati dalle sanzioni. Il Cremlino prevede che il pagamento venga considerato come andato a buon fine solo quando tutta l’operazione è completata.
La giornata è stata contrassegnata anche da un piccolo giallo. Secondo il sito Politico il ministro per la Transizione Roberto Cingolani ha aperto alla possibilità di accettare lo schema chiesto da Mosca. Politico riporta alcune dichiarazioni attribuite a Cingolani in cui il ministro afferma “Le compagnie energetiche europee dovrebbero essere provvisoriamente autorizzate a soddisfare le richieste russe” aggiungendo “Penso che sarebbe bene per qualche mese, almeno, consentire alle aziende di andare avanti e pagare in rubli, mentre cerchiamo di comprendere appieno il quadro giuridico e le implicazioni di questo meccanismo”. Il ministro ha poi chiesto un “un rapido e molto chiaro pronuncia della Commissione Europea”. “L’articolo pubblicato da Politico dal titolo “Italy open to paying for Russian gas with rubles” è fuorviante e non corrisponde alla posizione espressa dal ministro Cingolani che non ha mai aperto ad un pagamento in rubli”, ha spiegato però poi a stretto giro il ministero della Transizione Ecologica in una nota nella quale si aggiunge che “in attesa che si definisca unitariamente, a livello di Ue, la posizione sui pagamenti, lo schema euro/rubli che prevede che le imprese paghino in euro, al momento non lascia ravvisare una violazione delle sanzioni stabilite il 24 febbraio”.
“Cingolani ha già detto chiaramente che non ci saranno pagamenti in rubli”, ha precisato la commissaria Ue Kadri Simson in conferenza stampa aggiungendo che quella di Politico è “una notizia fuorviante”. Simson ha parlato di un incontro con Cingolani avuto “venerdì scorso” in cui gli è stato “spiegato bene che la posizione le imprese che rispettano i contratti hanno tutto il diritto di rifiutare questa proposta unilaterale della Russia” su “contratti che sono già stati firmati” prevedono che “i pagamenti devono avvenire in euro o in dollari, e il 97% dei contratti prevede esplicitamente pagamenti in euro o dollari, quindi se rispettano i contratti va rispettato anche questo obbligo contrattuale”, ha aggiunto. Nel frattempo procede l’incremento degli stoccaggi di gas che parte in primavera ed è necessario per affrontare con margini di sicurezza la stagione invernale. I depositi italiani sono ora pieni al 37% della loro capacità, i flussi dalla Russia, relativamente beassi nelle ultime settimane, sono tornati su valori elevati (2,7 milioni di metri cubi l’ora)
Fonti accreditate hanno precisato che rispetto ai pagamenti del gas russo al ministero della Transizione ecologica si vorrebbero chiarimenti dalla Commissione Ue il più velocemente possibile – secondo quanto si apprende da fonti accreditate – dando indicazioni chiare, a livello europeo o statale, alle società petrolifere e del gas. Non si dovrebbe insomma – è il ragionamento – lasciare alle singole aziende energetiche la responsabilità ultima su come agire rispetto al decreto di fine marzo del presidente russo Vladimir Putin.
Nel vertice si è parlato in modo informale anche dello stop all’import del petrolio russo. Le divisioni permangono con una Germania che sembra ora valutare questa possibilità. “La Germania non si contrapporrebbe a un embargo del petrolio, ma ritiene che sarebbe ragionevole che ci fosse un’alternativa” ha affermato il portavoce del ministro dell’Economia e del Clima
tedesco Robert Habeck. Le sanzioni vanno concordate con i partner, ha aggiunto, sottolineando che “la sovranità energetica va riacquistata passo dopo passo” e che “non bisogna essere ricattabili sull’energia”. Scettica sullo stop anche l’Austria. L’Italia sembra spingere per l’adozione di un tetto al prezzo pagato alla Russia per il petrolio, più che per un blocco tout court.
Lo stop all’import di greggio entrerebbe a far parte del sesto pacchetto di sanzioni a cui lavora Bruxelles e di cui domani dovrebbe essere presentata una prima bozza. La Russia è il terzo produttore al mondo di petrolio dopo Stati Uniti e Arabia Saudita. Ogni giorno estrae circa 11 milioni di barili, ora scesi intorno ai 10 milioni per effetto di un calo della domanda nelle incertezze del regime sanzionatorio. La gran parte della produzione viene esportata, ai valori di mercato attuali significa incassare quotidianamente una cifra non lontana dal miliardo di dollari. Prima dell’inizio della guerra l‘Italia importava dalla Russia circa il 13% dei 374 milioni di barili petrolio che consuma ogni anno. Con questi numeri vorrebbe dire pagare a Mosca quasi 5 miliardi di euro l’anno (in realtà la cifra è più basta visto che molte forniture sono basate su contratti a lungo termine, “sganciati” dalle quotazioni in tempo reale del petrolio, di cui è impossibile conoscere le condizioni). Più consistenti risultavano le quote di import della Germania (30% del totale), dell’Olanda (23%), del Belgio (23%)e soprattutto dell’Ungheria (43%). La Francia e la Spagna si collocano sulla stessa cifra dell’Italia.