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Paulo Freire, 25 anni fa ci lasciava il genio della pedagogia critica

A 25 anni dalla sua morte, Paulo Freire rimane uno dei simboli di quell’altro mondo possibile e la sua eredità ancora oggi ci guida e ci stimola verso questo ambizioso obiettivo. La sua Pedagogia dell’oppresso, testo fondamentale del movimento della pedagogia critica, pone le basi per un’educazione trasformatrice e rivoluzionaria che influenzò l’America Latina e non solo. Il rinnovamento pedagogico da lui proposto lo colloca come riferimento costante nella geografia della resistenza degli oppressi di ogni latitudine.

Le sue spoglie riposano nel “Cimitero della Pace”, nel lotto 185, tomba numero 22. Quando sono andato a visitarlo non c’erano fiori sulla sua tomba, un tumulo modesto come quello delle altre persone che riposano in questo tranquillo parco nel sud di San Paolo. Di lui oggi rimane un’immagine simbolo, forse la più conosciuta: barba lunga da profeta e tanta speranza per un Brasile più giusto.

Alle 5.30 del 2 maggio 1997 si spense Paulo Reglus Neves Freire. Moriva a San Paolo, città nella quale aveva iniziato a vivere di ritorno dall’esilio, stroncato da un infarto al miocardio. I suoi cinque figli perdevano un padre, mentre il Brasile e il mondo intero perdevano uno degli alfieri della pedagogia critica, un intellettuale versatile dalle mille sfumature: professore, scrittore, poeta, avvocato, economista, filosofo e soprattutto pedagogo.

Freire nacque a Recife (Pernambuco) il 19 settembre 1921, in una strada dal nome romantico e poetico, quasi come una profezia di una vita come quella che avrebbe vissuto: Estrada do Encantamento, Casa Amarela (Via degli Incantesimi, zona della Casa Gialla). Veniva da una famiglia che galleggiava sull’orlo della povertà e conobbe la penuria derivante dalla grande depressione del 1929. Successivamente, mentre il mondo era preda delle barbarie prodotte dalla Seconda Guerra Mondiale, iniziò nel 1943 gli studi di filosofia e psicologia del linguaggio all’Università di Recife e l’anno successivo si sposò con l’insegnante Elza Maia Costa de Oliveira. Già nel 1946 Freire iniziò a incorporare un metodo educativo alternativo e non ortodosso per rompere le catene dell’analfabetismo tra le persone marginate e seminare giustizia sociale.

In quell’anno venne nominato direttore del Dipartimento di Educazione e Cultura dei Servizi Sociali dello Stato di Pernambuco ed è qui che lavorò a diretto contatto con il Brasile dei “nadie”, parafrasando Eduardo Galeano. A quell’epoca, per votare nelle elezioni presidenziali in Brasile, saper leggere e scrivere erano requisiti necessari e quindi discriminatori. Una condizione che eliminava dall’equazione centinaia di migliaia di favelados, quegli oppressi che divennero un punto centrale della pedagogia di Freire. Quindici anni dopo passò a dirigere il Dipartimento di Estensione Culturale dell’Università di Recife e l’anno successivo impressionò il Brasile e il mondo, applicando i suoi modelli pedagogici con un gruppo di 300 lavoratori di piantagioni di canna da zucchero ai quali insegnò a leggere a e scrivere in 45 giorni!

Il governo di João Goulart (l’ultimo presidente brasiliano di sinistra prima dell’arrivo di Lula nel 2003) rimase così impressionato da questi risultati che decise di estendere il metodo Freire a tutto il paese, creando circoli culturali di alfabetizzazione. Il sogno però sarebbe durato molto poco perché il colpo di Stato del 1964, appoggiato dagli Stati Uniti, non solo mise fine al governo di Goulart inaugurando 20 anni di dittatura, ma tacciò come sovversivi Paulo Freire e la sua pedagogia. Dopo 70 giorni di prigione, Freire riuscì a trovare asilo nell’ambasciata di Bolivia ma giunto a La Paz, dopo solo 20 giorni, dovette assistere ad un altro colpo di Stato: quello contro il governo di Víctor Paz Estenssoro.

Freire decise quindi di recarsi in Cile dove potè dedicarsi all’insegnamento, allo studio e alla scrittura, collaborando anche con le Nazioni Unite. Del 1967 è la pubblicazione del suo primo libro “L’educazione come pratica della libertà”. Il più famoso “Pedagogia dell’oppresso” era stato scritto l’anno anteriore ma vide la luce solo nel 1970 e non in portoghese, bensì in inglese e spagnolo. In Brasile il libro verrà pubblicato solo nel 1974. Durante il suo esilio Paulo Freire viaggiò e lavorò negli Usa, dove fu professore invitato ad Harvard, in Svizzera e in Africa. Solo nel 1979 il visionario brasiliano, l’uomo del futuro, potrà tornare nel suo paese dove continuerà la sua opera pedagogica dirompente e liberatoria.

Per garantire un’educazione emancipatoria, Freire affermava che “la conoscenza deve essere costruita a partire da diverse realtà che influenzano i due soggetti politici inclusi nell’azione educativa, studente e insegnante“. La sua missione e il suo pensiero ha attraversato le frontiere e anche la barriera della morte. Freire ci ha lasciato, ma i semi del suo pensiero critico e non ortodosso sono stati sparsi dal vento della speranza in ogni angolo del mondo. Proprio in America Latina, la Campagna latinoamericana per il diritto all’istruzione (CLADE) ha assunto il pensiero e la pedagogia freireana come una delle sue basi principali per la lotta per il diritto umano all’istruzione nella regione. Durante tutto l’anno 2021, in cui si è celebrato il centenario della nascita di Paulo Freire, CLADE ha promosso e partecipato a diverse attività che ricordano l’eredità dell’educatore brasiliano. Inoltre sul sito web di CLADE sono disponibili e scaricabili in modo gratuito molti approfondimenti sull’opera di Freire, così come 12 della sue opere principali.

Il Brasile di oggi deve molto a quest’uomo che come ricorda CLADE, ha ricevuto 40 dottorati Honoris Causa e la cui opera è stata dichiarata dall’Unesco come “Patrimonio dell’Umanità”. Ma il Brasile di oggi ha il volto di Jair Bolsonaro, che il 16 dicembre nel 2019 riuscì a tacciare di “energumeno” Paulo Freire mentre insultava Tv Escola e una metodologia di insegnamento che probabilmente non può comprendere: rappresentando lui alla perfezione la categoria degli oppressori e non certo quella degli oppressi.