In questi giorni in Pakistan e in India le temperature sono tra i 45 e i 50 gradi, le più alte mai registrate per la stagione primaverile. A rischio è la produzione agricola che alimenta milioni di persone e la tenuta della rete elettrica delle grandi città, mentre scoppiano continuamente incendi dovuti a fenomeni di combustione spontanea delle discariche e delle foreste causate dalle temperature record. Mentre il cambiamento climatico accelera i suoi effetti di devastazione, la specie vivente più stupida del pianeta rincorre con ottusa determinazione l’ennesimo conflitto bellico.

Gli uomini da sempre si combattono per competere sul controllo delle risorse, per interessi dei gruppi dominanti, per ambizioni e volontà di potenza. Invece di scegliere le strategie collaborative si fanno la guerra, si uccidono a vicenda, compiono stermini e violenze che nessun altro essere vivente mai metterebbe in atto. Mentre nell’antichità i combattimenti avvenivano con le clave, però, oggi a disposizione dei governi ci sono circa 12 mila bombe atomiche.

Cosa accade quando un uomo è esposto a radiazioni nucleari non è noto a tutti. A Slow Death: 83 Days of Radiation Sickness è un libro che forse molti degli italiani favorevoli all’invio di armi all’Ucraina farebbero bene e leggere. Il testo narra dei postumi di una reazione nucleare accidentale che colpì tre operai intenti a miscelare uranio e acido nitrico all’interno di un serbatoio.
Hisashi Ouchi, l’uomo maggiormente esposto alle radiazioni, visse 83 giorni tra inenarrabili sofferenze e dolori. Nei giorni immediatamente successivi all’incidente si distaccarono intere porzioni di pelle e l’intero corredo cromosomico venne distrutto. Per due mesi e mezzo l’operaio rimase in vita in condizioni inumane grazie alle macchine per la trasfusione del sangue, innesti cutanei e trapianti di cellule staminali, perdendo venti litri di liquidi al giorno e assumendo le sembianze di un essere mostruoso e deforme. Morì in coma farmacologico per evitare lo strazio di una fine infernale quale erano stati gli ultimi giorni della sua vita.

Il premier Mario Draghi non deve essere molto esperto di conseguenze delle radiazioni nucleari, altrimenti non si spiega la sua decisione di inviare armi all’Ucraina che ha fatto entrare l’Italia di fatto in quella che, se non sarà fermata velocemente, diventerà la terza e ultima guerra mondiale. Anche in storia il Migliore non sembra essere particolarmente ferrato, perché se no dovrebbe conoscere la fine che fece Napoleone nella campagna di Russia. Arrivato dopo una interminabile marcia con le sue legioni a Mosca, l’imperatore francese trovò la capitale deserta. Lo zar e i russi erano scappati prima dell’arrivo degli invasori. Napoleone pensò che nell’arco di pochi giorni, data la situazione, lo zar avrebbe elemosinato la resa. Quello che accadde invece fu che i russi iniziarono a dare fuoco alla loro capitale. Gli incendi distruggevano le case, i quartieri, facendo terra bruciata intorno agli invasori. Con l’arrivo dell’autunno, Napoleone capì che non avrebbe potuto trascorrere l’inverno a Mosca, sprovvisto com’era degli approvvigionamenti e delle attrezzature necessarie per sopravvivere al rigido inverno russo. Così decise di ripiegare in ritirata con quello che rimaneva del suo esercito che, sulla strada del ritorno, inseguito dagli eserciti orientali, venne decimato dall’arrivo del grande freddo.

Cosa significhi la patria per un russo e quali sacrifici egli sia disposto a fare per proteggerla, arrivando a dare fuoco alla sua stessa casa, non è forse così chiaro per un banchiere abituato a mettere la tutela dei capitali dei grandi investitori e dei grandi affaristi al primo posto della sua scala di valori. Eppure questa sottovalutazione di fino a che punto Putin sia capace di andare avanti nella sua guerra di conquista dell’Ucraina rischia di essere fatale. Draghi, come molti altri occidentali, americani in primis, pensa che alla fine Putin, di fronte al rischio di essere distrutto, non userà le armi nucleari. Ma la storia del popolo russo, dei suoi valori e delle sue tradizioni dice che il rischio è che vada a finire molto probabilmente esattamente al contrario e che più salirà la tensione più Putin sarà determinato ad andare fino in fondo.

Continuare a spostare armi sempre più letali in territorio ucraino è allora esattamente come buttare benzina sul fuoco di un incendio che non si riuscirà più a frenare. Di fronte a questo più che plausibile scenario l’unica cosa che gli italiani possono fare è mandare a casa Draghi il più velocemente possibile e sostituirlo con un premier e un governo più prudenti e ragionevoli. Non sarà grande cosa nello scacchiere internazionale, ma forse dare il buon esempio potrebbe incentivare anche altre opinioni pubbliche nazionali a fare pressioni sui rispettivi governi per cambiare marcia e ricercare la pace attraverso i negoziati.

Le elezioni sono vicine e c’è da augurarsi che i partiti politici più intraprendenti sfruttino l’occasione per intercettare e alimentare lo scontento dell’opinione pubblica verso il rischio di un conflitto mondiale. Non occorre nemmeno parlare di coraggio, in fondo: chi non prende posizione nelle prossime settimane non solo rischia di non vincere le prossime elezioni, ma nemmeno di arrivarci vivo.

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