Ha pulito la sedia sulla quale si era appena seduto Giuseppe Conte. All’Aria che tira, su La7, l’ex premier aveva appena detto che “l’Italia deve essere in trincea e in prima fila per la transizione energetica, non nella corsa al riarmo”. Posizione che verosimilmente non ha trovato d’accordo Alan Friedman. Per manifestare il suo dissenso, il giornalista americano non è riuscito a fare altro che imitare l’ormai noto gesto di Silvio Berlusconi, vecchio di quasi dieci anni. “Sono igienico“, ha argomentato Friedman. Un tono molto diverso da quello usato qualche anno fa, per rispondere alle domande del New York Times, che aveva raccontato come il nome del giornalista Usa fosse finito in un’inchiesta del dipartimento di giustizia americano. Friedman non era indagato per veniva citato in una vicenda che documentava un’attività di lobbying a favore di Viktor Yanukovich, l’ex presidente filorusso dell’Ucraina. “Non c’è niente da scoprire. Non ho niente per voi. Come collega, starei facendo esattamente quello che state facendo voi”, era la sua risposta al New York Times, secondo ilpost.it.

Oltra alla sua attività da giornalista, infatti, Friedman lavora da anni come consulente di comunicazione. Il suo nome era finito tra i documenti depositati dal procuratore americano Mueller agli atti del processo a Paul Manafort, l’uomo che nel 2016 ha guidato la campagna elettorale di Donald Trump. Era uno dei filoni nati dal Russiagate: nel 2019 Manafort è stato poi condannato per cospirazione contro gli Stati Uniti e frode fiscale. Friedman non era sotto accusa negli Stati Uniti. Come raccontava il Fatto Quotidiano nel 2018, la sua società, FBC, aveva svolto un ruolo nell’attività di lobby di Manafort in favore dell’ex presidente filorusso. Oltre che dal New York Times la vicenda era stata raccontata anche dal Guardian. Secondo il quotidiano britannico la società di Friedman era arrivata a siglare un contratto per peggiorare l’immagine della rivale di Yanukovich: l’ex primo ministro Yulia Timoshenko.

La campagna, secondo quello che ricostruiva il Guardian, era stata orchestrata da Manafort con fondi di oligarchi ucraini filorussi. Per questo tipo di attività Manafort era arrivato a incassare 75 milioni di dollari: un paio erano stati usati per pagare, in modo lecito, alcuni politici europei. Facevano parte di un gruppo di pressione filo ucraino, il “gruppo di Hapsburg”. La figura centrale di questo gruppo era l’ex cancelliere austriaco socialdemocratico Alfred Gusenbauer. Secondo Politico.eu, in un memo Friedman stesso avrebbe proposto di pagare 25 mila-30 mila euro, suggerendo anche pagamenti agli altri politici. Secondo ilpost.it Friedman confermò al Guardian di aver lavorato per il governo ucraino per “un progetto di relazioni pubbliche e di indagine”, smentendo però che fosse segreto. “Avevamo dei responsabili delle comunicazioni che proponevano interviste e articoli ai giornali molto apertamente”, ha detto il giornalista, spiegando di aver dichiarato i compensi ricevuti.

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