Due mesi dopo l’inizio del conflitto papa Francesco confessa al Corriere della Sera: “Io sono pessimista”. Ma subito dopo aggiunge: “Ma dobbiamo fare ogni gesto possibile perché la guerra si fermi”.
In Vaticano è chiara la consapevolezza (diffusa in tutte le cancellerie) che il 26 aprile – con la riunione a Ramstein di 40 paesi, non solo Nato, sotto la guida statunitense – la guerra in Ucraina sia entrata in uno stadio interamente nuovo. Non si tratta più meramente della resistenza del popolo ucraino all’invasione russa ordinata da Putin e alle brutalità che si sono verificate. Il nuovo capitolo vede l’Ucraina trasformata in un perimetro in cui si affrontano la potenza degli Stati Uniti (con la Nato) e la potenza della Russia. E’ una guerra di imperi. La posta in gioco l’ha descritta con precisione il ministro della Difesa americano, Lloyd Austin: “Vogliamo vedere la Russia indebolita al punto da non poter fare il tipo di cose che ha fatto con l’invasione dell’Ucraina”.
Parole chiarissime. La Russia deve perdere il suo status di grande potenza per diventare una specie di Serbia, incapace di nuocere. A chi osserva con lo sguardo dello storico le vicende dell’ultimo trentennio appare chiaro che la lotta è tra un impero decaduto (Mosca) e un impero in declino (Washington).
Gli Stati Uniti, che in seguito al crollo dell’Urss pensavano di inaugurare un “secolo americano”, si sono accorti dopo il fallimento dell’occupazione dell’Afghanistan e dell’invasione dell’Iraq che una loro egemonia mondiale non è più praticabile. Per questo ora hanno deciso di voler domare Mosca al fine di mostrare al mondo che sono sempre la superpotenza numero uno. Putin a sua volta ha pensato di trovarsi di fronte a una potenza americana indebolita dopo la disastrosa fuga da Kabul e ha creduto di potersi permettere una zampata imperiale ai danni dell’Ucraina: errore clamoroso, condito da sconfitte inferte dalla strenua resistenza ucraina (rafforzata dalle forniture di armi occidentali e dal costante aiuto strategico dei servizi segreti di Stati Uniti e Gran Bretagna).
Nella sua intervista al Corriere papa Bergoglio invita, com’è suo solito, a non essere ingenui. Putin ha provocato la guerra, non c’è dubbio, e il pontefice sta dalla parte di chi soffre, l’Ucraina, e dunque si aspetta e preme perché il leder russo dia un segnale di cessate il fuoco. Però questa guerra è nata in un contesto ed è inutile che si tenti di silenziare i fatti della storia. “L’abbaiare della Nato alla porta della Russia” ha spinto Putin a muoversi, “un’ira che non so dire se provocata, ma facilitata sì”.
L’analisi che sia stato un errore tentare di spingere la Nato ai confini russi è ampiamente condivisa da politici e politologi americani ed europei, da Henry Kissinger, che sottolineava l’esigenza di un’Ucraina non allineata, all’ex presidente del Consiglio Giuliano Amato (con un secco comunicato Angela Merkel, tra i maggiori statisti che l’Europa abbia avuto nel ventennio trascorso, ha ribadito di “confermare” la sua decisione del 2008 di bloccare insieme alla Francia l’ingresso dell’Ucraina nella Nato, voluto allora dal presidente statunitense Bush junior).
Nell’attuale crisi papa Francesco rappresenta un punto di riferimento politico – non un generico appello morale, disincarnato – che ovviamente respinge le pretese militari di Mosca ma contemporaneamente non accetta di allinearsi a Washington nella corsa verso una escalation bellica fino alla “vittoria” sulla Russia.
Il pontefice sottolinea con forza che il primo obiettivo da perseguire è il negoziato. “Mi chiedo insieme a tante persone se si stia veramente ricercando la pace, se ci sia la volontà di evitare la escalation militare e verbale”, ha detto domenica in piazza San Pietro. Aggiungendo: “Non ci si arrenda alla logica della violenza perversa, si depongano le armi e si imbocchi la via del dialogo e della pace”.
Altri tre punti si evidenziano nella sua intervista. Primo. La lobby degli armamenti si nutre del conflitto: “Le guerre si fanno per provare le armi che abbiamo prodotto… Il commercio degli armamenti è uno scandalo, pochi lo contrastano”. Secondo. Non è il momento per incontrare il patriarca russo Kirill, “sarebbe un segnale ambiguo”. Al patriarca, giustificazionista delle mosse di Putin, il Papa ha detto “Fratello, noi non siamo chierici di Stato”. E Bergoglio ci tiene a farlo sapere in pubblico. Terzo. Tocca a Putin fare una mossa. Il pontefice elenca tutti i passi fatti personalmente o tramite il segretario di Stato vaticano cardinale Parolin per fermare l’aggressione e rivela la sua disponibilità ad andare a Mosca. “Non abbiamo ancora avuto risposta e stiamo ancora insistendo”.
La mossa di Francesco evidenzia in controluce anche gli interrogativi sulle scelte di Washington: nel 1962, durante la crisi di Cuba, Giovanni XXIII poté mediare perché sia Kruscev che Kennedy erano disponibili. Se Putin apre al negoziato, Biden è disponibile o attende la vittoria finale?
Da questo punto di vista si comprende meglio la decisione di Francesco di non andare per ora a Kiev. Pur senza dirlo, non vuole essere ridotto a strumento di propaganda del presidente ucraino Zelensky. Leggere l’intervista del pontefice slegata da tutti gli interventi di queste nove settimane sarebbe un errore. I capisaldi della posizione della Santa Sede restano:
1. Riconoscimento dei legittimi interessi di tutte le parti, come affermò da subito il cardinale Parolin (molto elogiato da Francesco);
2. Superamento di una strategia limitata solo al confronto di blocchi politico-militari;
3. Nuove regole di governo della comunità degli stati a livello globale: cioè un nuovo patto sul modello di Helsinki 1975 ma a livello internazionale.
Aiuta a capire meglio la posizione geopolitica di Francesco e del Vaticano l’ultimo editoriale del direttore di Avvenire. “Dicono che per fare finire la guerra bisogna fare più guerra – scrive Marco Tarquinio – … (noi) diciamo che non è vero, che guerra più guerra in Ucraina e ovunque significa solo un più grande massacro di vite umane e di verità”. Attenzione, avverte il giornale dei vescovi italiani, alle guerre per procura: “Se necessario, constatazione dolente e amarissima di Jeffrey Sachs, fino all’ultimo ucraino. Parole terribili, che potrebbero stare in bocca all’uomo del Cremlino e stanno in testa agli strateghi, d’occidente e d’oriente, della nuova guerra fredda”.
La linea di Francesco contro un deragliamento della nuova guerra fredda e la sua isteria è tutt’altro che isolata. Incrociando i sondaggi emerge ripetutamente che gli italiani vogliono l’indipendenza e la libertà dell’Ucraina, vogliono che Putin sia fermato, ma non vogliono una corsa alle armi e un’escalation del conflitto. La pace non si aspetta come un regalo dal nemico e non si invoca retoricamente, si ottiene con fatica e volontà. Non a caso Francesco il suo ultimo libro lo ha intitolato Il coraggio di costruire la pace.