Per il commissario per i diritti umani di Kiev dal 24 febbraio Mosca avrebbe deportato oltre 600mila persone, tra cui 117mila bambini: a Vladimir, Omsk, Perm, nella regione di Chelyabinsk, a Sakhalin. E un team di giornalisti ucraini ora denuncia il ruolo avuto dalla Chiesa ortodossa, forte di una rete di 12mila chiese che rispondono al Patriarca Kirill, da subito fervente sostenitore del sogno neoimperialista di Putin. Il commissario Lyudmila Denisova ha riferito che sono in corso due inchieste separate, una per gli adulti e una per i minori. Le informazioni sono molto parziali: sia perché fornite da una sola parte in causa e sia perché il trasferimento operato con la forza di civili da un paese ostile è un crimine di guerra, e quando viene commesso non è certo pubblicizzato. Si tratta infatti, secondo le autorità ucraine, non di “profughi” volontari o di rifugiati in cerca di approdi sicuri ma di civili costretti a lasciare le terre occupate via via occupate per gli oblast russi.
Del rischio di “deportazioni di massa” il Fatto Quotidiano si è occupato il 17 marzo scorso, segnalando che proprio alla vigilia del conflitto (era il 20 dicembre 2021) il Cremlino avesse approvato una legge speciale che obbligava gli oblast della Federazione a organizzare ordinatamente lo spostamento di civili, pena sanzioni pesanti agli amministratori poco collaborativi. Ma con quali mezzi, strutture e canali? Una risposta l’ha data il team di giornalisti investigativi ucraini Slidstvo, documentando il ruolo chiave che avrebbe la chiesa ortodossa in queste operazioni grazie ad accordi definiti per tempo col Cremlino. Così sarebbe stata messa a punto una complessa “filiera” della deportazione di massa.
I reporter autori dell’inchiesta, pubblicata a puntate sul sito www.slidstvo.info, si professano indipendenti e hanno ricostruito la loro versione basandosi su documenti ufficiali frutto di scambi intercettati tra il Ministero delle Emergenze del Cremlino e le strutture del clero russo. Leaks delle mail messe a disposizione dagli hacker di Anonymous e del consorzio DDSecret (Distributed Denial of Secrets) che dall’inizio del conflitto hanno rilasciato file riservati della Banca centrale russa, delle grandi compagnie statali del petrolio (Gazprom, MashOil), fino alle società di costruzioni (RostProekt). A strascico, vengono pescate anche le corrispondenze tra ente statale e religioso, iniziate a partire dal 21 febbraio 2022, appena tre giorni prima dell’invasione.
Da quelle comunicazione emergerebbe il ruolo attivo del clero e delle sue strutture territoriali nello svuotare di giovani, donne e bambini le regioni orientali dell’Ucraina per “reinserirli” altrove, così da eradicare ogni possibile forma di resistenza futura nei territori acquisiti alla causa russa. Un piano che passa per le 52 diocesi del Patriarcato di Mosca, tramite il quale la Chiesa ortodossa ufficialmente fornisce assistenza mirata a 33mila “sfollati” di Mariupol e Izyum, altri ancora sono a Chernihiv e Zhytomyr, a Kharkov. Si tratta in sostanza del braccio armato dell’ultraortodosso patriarca Kirill che fin dall’invasione ha sposato la causa di Putin come una guerra “giusta” e di “liberazione”, una crociata contro i gay e contro la presunta “corruzione morale dell’Occidente”. Lo snodo dell’organizzazione sarebbe, appunto, il Dipartimento sinodale della Chiesa ortodossa russa (ROC) che funge da “filtro” e canale di smistamento. Tanto che, stando alle testimonianze raccolte dai cronisti ucraini, si preoccupa anche di sorvegliare, con l’ausilio di telecamere, le strutture in cui le famiglie vengono temporaneamente accolte in tutta la Russia, perlopiù chiese e monasteri.
L’inchiesta ha fatto tanto rumore da costringere il Patriarcato a pubblicare sul suo sito ufficiale una nota per negare ogni addebito, sostenendo di operare mossi da misericordia e in totale trasparenza perché fornisce sul sito le “statistiche dell’accoglienza”. Numeri che però non contengono alcuna indicazione specifica sulle persone e sulle famiglie trapiantate, così da non consentire ai parenti di sapere che fine abbiano fatto, bambini compresi. Le telecamere di sorveglianza? “Recentemente – si legge nella replica – sono state installate per garantire la sicurezza. Una guardia è di turno all’ingresso, riceve un segnale video dai locali”. La nota invita poi i media occidentali e l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati “a venire nelle nostre istituzioni ecclesiastiche per scoprire come le persone arrivano qui e in quali condizioni si trovano”. Cosa non semplicissima, di questi tempi, e non certo agevolata dalle autorità laiche direttamente coinvolte nel programma.
Il consorzio di giornalisti fa anche un nome, quello della coordinatrice del settore dell’organizzazione dell’assistenza ecclesiastica in situazioni di emergenza, Polina Yufereva che vanta una lunga storia di cooperazione con le forze di sicurezza russe: nel 2010, insieme alla polizia antisommossa e al ministero dell’Interno di Mosca, Yufereva ha organizzato l’ invio di aiuti umanitari alle vittime degli incendi. Da allora, rilevano i reporter, quasi quotidianamente la Chiesa riceve la mappa dei territori via via occupati e le coordinate dei trasferimenti di civili in corso via treno e via pullman: solo la prima, datata 24 febbraio, indicava che 107.819 persone erano arrivate dai territori dell’Ordlo (i territori temporaneamente occupati delle regioni di Donetsk e Luhansk) attraverso i posti di blocco nel territorio della regione di Rostov. L’ultima intercettata risale al 30 marzo, riferisce di 490mila persone arrivate in Russia, inclusi 100mila bambini: un dato molto simile a quello fornito dal fronte ucraino per tramite del Commissario Lyudmila Denisova. E dove sono finiti? Per i reporter e per le autorità ucraini sono stati “dispersi” nelle strutture attrezzate dalla Chiesa ortodossa.
Gli osservatori internazionali hanno pochi strumenti per capire il destino dei deportati. “Le immagini satellitari, credo, dovranno essere studiate in un futuro prossimo per calcolare il flusso dei pullman dai territori occupati dalle truppe russe (Mariupol, Luhansk, Kharkiv, Sumy ecc.) verso l’interno del Paese”, sostiene l’analista italiano David Rossi che sta seguendo il tema fin dall’approvazione della legge “speciale” sulle evacuazioni di massa. “In ogni caso, a meno che non si tratti di persone con parenti all’interno della Russia che si fanno carico dell’accoglienza, si tratta di una violazione delle convenzioni di Ginevra, che stabiliscono il divieto di spostare i civili dall’interno di un territorio occupato, in questo caso l’Ucraina, verso il territorio dell’occupante o anche in un Paese terzo”.