C’erano le mani dei Casalesi sugli appalti per i servizi della rete ferroviaria e di pavimentazione stradale. Almeno secondo un’indagine coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli, culminata questa mattina nell’esecuzione di misure cautelari per 35 persone e di decreti di sequestro preventivo di beni mobili e immobili per un valore complessivo stimato in circa 50 milioni di euro. Le misure (17 custodie in carcere, 17 arresti domiciliari e un obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria) sono state eseguite dagli agenti della Dia di Napoli, dai militari del Comando provinciale dei Carabinieri di Caserta e del Nucleo investigativo centrale del Dap, su delega della Procura di Napoli.
I provvedimenti cautelari, eseguiti nelle province di Napoli, Caserta, Roma, Bari e Lecco, sono stati emessi in due distinti procedimenti dal gip di Napoli su richiesta della Dda partenopea nei confronti di persone ritenute gravemente indiziate, a vario titolo, di partecipazione al clan dei Casalesi, fazione capeggiata da Francesco Schiavone, estorsione, intestazione fittizia di beni, turbativa d’asta, corruzione e riciclaggio con l’aggravante dell’agevolazione mafiosa. Gli accertamenti patrimoniali svolti dal Centro operativo di Napoli della Dia, in collaborazione con il Nucleo investigativo dei Carabinieri di Caserta, hanno consentito di individuare complessi meccanismi di riciclaggio e di illecita interposizione negoziale. Contestualmente, è stata eseguita dai Carabinieri di Caserta un’altra misura cautelare, emessa in un separato procedimento, nei confronti di un avvocato e del responsabile di un’agenzia bancaria, poiché gravemente indiziati di aver rivelato a uno degli indagati l’esistenza delle indagini.
Secondo gli inquirenti gli ex dirigenti Rfi avrebbero ricevuti preziosi “gemelli d’oro Cartier da 600 euro”, ‘stipendi’ di mille euro mensili, soggiorni da oltre 9mila euro in costiera sorrentina, con tanto di prestazioni accessorie, e anche promozioni. Tra gli appalti finiti nelle mani di ditte riconducibili al clan, figura anche quello di Rfi riguardante le centraline di sicurezza e della pavimentazione stradale. Rete Ferroviaria Italiana ha fatto sapere in serata di aver “sospeso in via cautelare i dipendenti coinvolti che risultano ad oggi ancora in organico. Altri quattro ex dipendenti, raggiunti da provvedimenti restrittivi della Procura, e già in passato oggetto di indagine della stessa Procura, sono stati licenziati e non sono più in organico”. La società, “che si ritiene parte lesa”, sottolinea di aver “avviato da tempo un lavoro per rafforzare le azioni contro i tentativi di infiltrazione criminale negli appalti e per individuare soluzioni a contrasto ancora più efficienti e tempestive”.
Tra gli arrestati anche Nicola Schiavone, il fratello Vincenzo e Dante Apicella, già coinvolti nel maxiprocesso ai Casalesi Spartacus e almeno dagli anni ’80 nel clan con funzioni direttive. Erano loro ad accaparrarsi appalti pubblici garantendo così la sopravvivenza a un’organizzazione mafiosa “debilitata” dall’azione di forze dell’ordine e magistratura. In particolare Nicola e Vincenzo Schiavone sono ritenuti i prestanome e soci di lungo corso del capo del capoclan Francesco “Sandokan” Schiavone, di cui sono cugini; per anni hanno foraggiato la famiglia malavitosa. Quando i rubinetti si sono chiusi, sono poi maturate le collaborazioni con la giustizia, come quella del figlio di Sandokan, Nicola. Ai domiciliari anche l’avvocato Matteo Casertano per rivelazione di segreti sull’indagine Dda al cugino imprenditore Crescenzo De Vito (arrestato), il quale, a sua volta, le avrebbe passate al 68enne Nicola Schiavone; stessa accusa per il bancario Francesco Chianese (interdetto dall’attività per sei mesi), che per primo avrebbe avuto notizia dell’indagine rivelandola a De Vito. In questo filone risulta indagato anche un carabiniere della Procura di Napoli.